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IL RACCONTO breve di Ruggero Luzi | Storia di una donna intrappolata nel corpo di un uomo

Il nostro "scrittore" Ruggero Luzi per l'8 marzo ha voluto dedicare un racconto-mimosa anche a chi donna c'è nata solo come testa e cuore ma con il corpo di un uomo. Questa è la storia di Alberto e della sua metamorfosi dolorosa

Il nostro "scrittore" Ruggero Luzi per l'8 marzo ha voluto dedicare un racconto-mimosa anche a chi donna c'è nata solo come testa e cuore ma con il corpo di un uomo. Questa è la storia di Alberto e della sua metamorfosi dolorosa. Buona Lettura. 

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di Ruggero Luzi

Alberto aprì gli occhi e vide intorno al letto sua madre, suo padre, il fratello Andrea e la sorella Francesca. Notò il loro sguardo perplesso rivolto verso di lui, ma non parlavano  e il loro silenzio lo preoccupò. Li scrutò uno ad uno e la sua attenzione si focalizzò sui loro occhi bagnati di lacrime. La madre aveva del muco che gli usciva dal naso e questo lo infastidì perché l’aveva vista piangere altre volte ma mai colargli così copiosamente quel liquido vischioso che gli scendeva fino alle labbra e si chiese come mai non avesse con sé il fazzoletto. La cosa che lo stupì ancora di più quando vide che tentava di asciugarsi con la mano. Non se lo sarebbe mai aspettato da lei che non sopportava quando lui era raffreddato e non si soffiava il naso. Gli altri apparivano più perplessi che preoccupati. 

Il padre aveva la bocca leggermente aperta come fosse stupito nel vederlo. Con lui il rapporto si era incrinato il giorno che gli disse di avere provato una vaga sensazione di piacere nell’assaporare l’alito caldo del suo compagno di banco quando, per non farsi sentire dal professore, gli aveva sussurrato parole nell’orecchio. Voleva farlo visitare da un otorino. Una sera, in televisione, si parlava di matrimoni gay e suo padre cominciò a inveire contro i due ragazzi che raccontavano di quanto si amavano. Lui ripensò al calore dell’alito e gli disse che non aveva bisogno dell’otorino perché oltre al suo respiro gli piacevano anche le  mani, gli occhi e la bocca. Ci fu una gran confusione in casa, gli insulti del padre, i sorrisi nascosti del fratello e della sorella, il pianto inconsolabile della madre che fece subito uso del fazzoletto con le sue iniziali. Andrea lo guardava più divertito che preoccupato, si sentiva il fratello maggiore e lo teneva in scarsa considerazione. Francesca aveva un'unica lacrima che gli scendeva dall’occhio destro mentre l’occhio sinistro era chiuso come a voler fare l’occhiolino. Lei gli aveva permesso di indossare i suoi abiti e lui preferiva quello rosso di raso, gli piaceva sentirlo strusciare sulla pelle. 

Le scarpe di vernice nera con il tacco dodici lo facevano barcollare e faticava a mantenere l’equilibrio di fronte allo specchio verticale. Una sera mentre tutti stavano cenando aveva indossato abito e scarpe passandosi un filo di rossetto sulle labbra e la matita sugli occhi. Voleva fare una sorpresa ed entrò nella stanza da pranzo. Senti il rumore di qualcosa che dopo avergli sfiorato la testa si infranse contro il muro e schizzi di sugo gli arrivarono sulla faccia e sul torace rimasto scoperto dalla scollatura. Il padre era in piedi, farfugliava parole incomprensibili  e vide la mano della mamma afferrare il suo braccio per impedirgli di scagliare altri oggetti contro di lui. Fu il fratello a spingerlo oltre la porta e velocemente richiuderla dicendogli che era diventato pazzo e che avrebbe fatto venire l’infarto al babbo.

Fu riaccompagnato in camera dove giunse anche Francesca. Gli tolsero abito, scarpe e trucco. Poi arrivò la mamma e disse che il babbo si era calmato e che attendeva tutti nel salottino. Era seduto nella sua poltrona, la mano destra stringeva un bicchiere, gli piaceva il cognac francese,  la sinistra teneva, tra il dito indice e il medio, il sigaro Avana. Andrea, al quinto anno di medicina, aveva appena sostenuto l’esame di psichiatria e iniziò uno sproloquio che sembrava il ripasso prima dell’esame per concludere che la cosa giusta era di mandare Alberto da uno psicoanalista. Francesca, da assistente sociale, si trovò d’accordo e aggiunse le sue competenze da far sembrare la piccola riunione di famiglia un congresso sulle tendenze sessuali del figlio più piccolo. Lui era certo di non avere nessuna tendenza, era ciò che si sentiva di essere,  voleva indossare abiti femminili , truccarsi e farsi crescere i capelli per poterli pettinare come la modella che aveva visto in un giornale. Andrea parlava di corpi che non ci appartengono, l’intimo che non è in sintonia con l’esteriorità. 

Insomma quello che aveva in mezzo alle gambe non era suo, nel senso che c’era ma rappresentava un di più. Rincuorato, Alberto, disse che c’erano altre stonature, la peluria, il seno piccolo e la voce che non si addiceva ai ritocchi che si sarebbero dovuti fare al suo corpo. Il padre spense con violenza il sigaro sul posacenere. Prevalse la proposta di Andrea e decisero per lo psicoanalista dopo il tentativo della mamma di rivolgersi alla signora del palazzo accanto che trattava di malocchi e contatti con le anime dei morti. Gli tornarono alla mente le parole dello specialista a cento euro a seduta mentre lui disteso sul lettino  sognava  di correre sulla spiaggia in bikini mano nella mano con l’uomo dei suoi sogni. Ricordò lo sconforto dei suoi genitori quando il luminare gli comunicò che la sua natura era al femminile e che avrebbero dovuto amarlo per quello che era e le imprecazioni del babbo rivolte al ciarlatano che gli aveva spillato tutti quei soldi minacciando di fare interrompere gli studi ad Andrea che aveva suggerito l’analisi. Ce ne fu anche per Francesca ritenuta sua complice perché gli aveva permesso di giocare con le bambole. E poi la mamma che aveva un debole per lui e rimproverava a suo fratello e a sua sorella di non aiutarla nelle faccende domestiche. Lui sapeva fare in cucina, attaccare i bottoni e persino stirare. Alberto distolse lo sguardo da loro e si rese conto che si trovava in una camera d’ospedale.

 L’avambraccio destro gli doleva e vide che c’era un cerotto che copriva in parte un oggetto sottile collegato ad un tubicino trasparente con all’interno un liquido chiaro che veniva da una boccia di vetro appesa ad un palo di ferro. Con la mano sinistra senti un malloppo di tessuto ruvido in mezzo alle gambe, anche sulla pancia c’era il tessuto e giunto nel torace un altro malloppo dello stesso tessuto di traverso sopra le mammelle. Tirò fuori il braccio da sotto il lenzuolo e si accorse della presenza di un braccialetto di plastica rosa, lo accostò agli occhi, c’era inciso un nome, Alberta. Si rese conto di essersi svegliato dopo l’intervento per cambiare il sesso, guardò uno ad uno i suoi familiari che finalmente dettero sfogo al pianto che piano, piano si trasformò in un dolce sorriso.

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