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Pillole di cinema in dono da Fabio Melelli in occasione del Dantedì. Conferenze sul Sommo Poeta

Pillole di cinema in dono da Fabio Melelli in occasione del Dantedì perugino. Conferenze col botto per onorare il Sommo Poeta. Una coppia perfetta di relazioni che hanno portato in casa nostra il sapore del mondo dantesco, filtrato attraverso l’universo filmico pasoliniano e l’immaginario onirico felliniano. Il tutto spalmato in un articolato discorso, con la consueta maestria, dal principe degli storici della Decima Musa. La terapia filmica (non solo per noi cinefili) si è articolata in due pillole: “Fellini e Dante” e “La Divina Commedia nell’opera di Pier Paolo Pasolini” (entrambe sono visionabili su YouTube).

Nella prima conversazione, Fabio Melelli ha indagato le influenze dantesche nell’opera del grande regista riminese, focalizzando l’attenzione sul progetto de “Il viaggio di G. Mastorna”, un film tanto discusso quanto irrealizzato. Anche se Fellini aveva predisposto dei passaggi di una magnifica “graphic novel” con la sua magistrale matita. Mi sia permesso ricordare l’inventore del genere “ultramondano” in Italia, ossia lo scrittore-pittore giornalista Dino Buzzati di cui ho parlato su queste colonne (RIPIANI. Torna sugli scaffali la prima graphic novel della letteratura italiana: "Poema a fumetti" di Dino Buzzati).

Ci pensò lo straordinario Milo Manara a tradurre in fumetti l’affabulazione felliniana in cui si racconta un viaggio in un aldilà molto simile al Purgatorio dantesco.
“Senza trascurare – ricorda Melelli – il fatto che echi danteschi sono presenti in molte opere di Fellini: da ‘La dolce vita’, viaggio negli abissi della colpevole (in)coscienza della società contemporanea. Fino ad ‘Amarcord’, in cui l’effige nasuta del Ghibellin Fuggiasco compare nella finta pubblicità del Fosforil”.

Nella seconda pillola melelliana, si affrontano le matrici dantesche in Pier Paolo Pasolini, che apre il suo film d’esordio, ‘Accattone’, proprio con una citazione dalla Commedia. Lo scrittore di Casarsa scrisse anche un’opera ‘La Divina Mimesis’, in cui l’autore si inoltra nell’Inferno neocapitalistico, coi suoi vizi di conformismo, volgarità, cinismo e ambiguità. Un’opera aperta, volutamente incompiuta e a suo modo profetica: quasi una premonizione della propria fine violenta.

E perfino la carica dirompente e di sofferta rivolta che permea di sé il “Salò o le 120 giornate di Sodoma” cos’è, se non un percorso crudele e infernale, violento e stercorario, in cui il corpo sprezzato si fa metafora di un profondo inquinamento civile e di maleolente degrado morale?

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