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I libri che tutti citano, senza averli letti: il caso di "Diario minimo" di Umberto Eco

Molti (troppi) citano quella raccolta di saggi del celebre semiologo e scrittore senza averla letta

Quei libri che tutti citano… senza  averli mai letti. Accade anche per “Diario minimo”, un’opera di Umberto Eco, di cui ricorre il secondo anniversario dalla morte (era uscita da Mondadori nel 1962, io ne possiedo la Tascabili Bompiani del 2013). Molti (troppi) citano quella raccolta di saggi del celebre semiologo e scrittore senza averla letta.

Ora, tutti abbiamo sentito parlare del “libro” “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, scritto all’epoca del grande successo televisivo del presentatore italo-americano. Eppure, per quanto si spulcino cataloghi, di questo libro non si troverà traccia. Semplicemente perché quel “libro” non esiste. Non esiste in forma autonoma, dato che è un breve e succoso capitolo del “Diario Minimo” (tra le pagine 29-34 della mia edizione).

Quale la tesi sostenuta in quel piccolo saggio? Scrive letteralmente Eco: “Mike Bongiorno non provoca complessi di inferiorità, pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere, perché chiunque si trova già al suo livello”. E aggiungeva: “Lo spettatore vede glorificato, e insignito ufficialmente di autorità nazionale,  il ritratto dei propri limiti”.

Perché “Mike non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi… è decisamente intenzionato a non apprendere nulla”. “È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate”. Per concludere: “Convince il pubblico con un esempio, vivente e trionfante, del valore della mediocrità”. È noto che Mike (scomparso 9 anni fa) si vendicò riferendo che Eco era stato collaboratore di quella stessa trasmissione che derideva (“Lascia o raddoppia?”).

In una sua “Bustina di Minerva” su “L’Espresso”, Umberto Eco sosteneva (a ragione) che tutti ricordiamo vagamente i libri letti anni prima, o ne rammentiamo solo qualcosa. Anzi: spesso li “riscriviamo” a modo nostro, come avremmo voluto che fossero. Anche a me succede, come (immagino) ai lettori di PerugiaToday. Ma altra cosa è citare (a vanvera e in malafede) libri che non si sono mai letti. Un esempio? L’“Ulisse” di Joyce  o “La Recherche” di Proust. Alzi la mano – sinceramente – chi è arrivato alla fine.

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