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Giovedì, 25 Aprile 2024
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INVIATO CITTADINO Misericordia, di Emma Dante, tira giù il teatro Morlacchi

Uno spettacolo maiuscolo che conquista il pubblico perugino

“Misericordia”, di Emma Dante, tira giù il teatro Morlacchi. Uno spettacolo maiuscolo che conquista il pubblico perugino. Tante chiamate per un capolavoro costruito con scrittura, regia, interpreti impeccabili (Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Simone Zambelli).

Senza scene, senza illusorie messe in scena. Perché ad essere messa in scena è la vicenda dolce-amara della vita. Che non ha bisogno di orpelli, ma si fonda sulla necessità di esistere. Costi quel che costi.

Una storia border line con tre donne e un giovane subnormale, frutto della colpa, figlio di una collega prostituta uccisa dal suo aguzzino. Che l’ha fatta partorire, a forza di botte, e morire dando alla luce un figlio settimino. Il violento si chiamava Geppetto, faceva il falegname. Come il babbo di Pinocchio nella favola collodiana, scritta per adulti-bambini o per bambini-adulti. Se preferite. Infatti, a suo modo, lo spettacolo è un ‘Bildungsroman’, un romanzo di formazione. Ma per noi adulti.

Fra miseria materiale e contrasti umani, in uno spaccato antropologico di rara efficacia, che coniuga il registro del comico con quello del drammatico, sublimandoli in sintesi lirica. Uno spettacolo politico, certamente, come è politico tutto quanto ci riguardi. In un modo o nell’altro. Ma politica vera, non politica politicante. Di quella intrisa d’umanità. Quella un po’ demodée. Oggi.

Avrebbe detto Terenzio: “Homo sum. Nihil a me humani alienum puto”.

La presenza ingombrante dell’handicappato, le condizioni economiche miserabili impongono un suo allontanamento in una struttura per disabili. Decisione agognata, eppure temuta. Anna, Nuzza e Bettina lo hanno cresciuto come fosse figlio loro. Ma ora debbono separarsene.

E così, come Pinocchio sale sul carro che porta al Paese dei Balocchi, anche Arturo attende la banda, con la sua allegria posticcia e intrisa di dolore. Sognando di suonare la grancassa, in un delirio di colpi e di note.

Partirà, senza nessun Lucignolo a corromperlo, col saluto struggente delle sue madri surrogate.

Il momento più alto dello spettacolo è quando Arturo si volta e, con la mano, saluta le donne chiamandole “mamma”.

E ciascuna di loro risponde d’istinto al suo richiamo. Perché è quello il ruolo cui si sentono chiamate.

Grazie, Emma Dante, per avermi fatto sentire “padre”. Anzi, scusa: volevo dire “madre”.

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