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Tra autentiche "chicche" di peruginità e storia, ecco il libro sul tema del "post mortem"

Cimitero come luogo della memoria, partendo dal monumento ai caduti del XX Giugno, dagli eroi al servizio dell’ideologia, da intellettuali, artisti, filosofi e politici, fino alla gente comune

Se 54 cimiteri vi sembran pochi! A tanti ammontano i “camposanti” del vasto territorio comunale  perugino (malgrado almeno due siano in disarmo e… qualche altro ridotto all’ecce homo). Ce lo raccontano, con ricchezza di informazioni storiche e acribia antropologica, Paolo Bartoli e Michelangelo Giampaoli, nel libro, scritto a quattro mani, “All’ombra dei cipressi” (Futura editore, euro 25).

Un lavoro che fa il punto, in modo esaustivo – e, paradossalmente, “divertente” – sul tema delicato del post mortem. In 138 pagine, scandite in 8 capitoli, tra una premessa e un’appendice, incontriamo autentiche chicche di peruginità. Raccontate, in presentazione, alla Vaccara.

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La parte del leone la fa, naturalmente, il cimitero monumentale, ricco di storia e opere d’arte, di suggestioni e umanità. Se ne ripercorre la costruzione, attingendo a fonti d’archivio spesso intonse. Come anche per altri cimiteri cittadini e per quelli rurali.

Cimitero come luogo della memoria, partendo dal monumento ai caduti del XX Giugno, dagli eroi al servizio dell’ideologia, da intellettuali, artisti, filosofi e politici, fino alla gente comune. Che è poi la maggior parte degli “utenti”.

La città che cambia, cimitero rimesso a nuovo dopo anni di degrado e abbandono

Note particolari sui cimiteri ebraici, come quello lungo il discesone di San Girolamo, antico e inutilmente restaurato nel 2005, dato che è ancora in abbandono. Ci sarà da chiarire, una volta per tutte, come mai un cimitero pubblico sia accessibile solo attraverso i buoni uffici e le chiavi di un privato. C’è poi il settore ebraico nel monumentale, dietro il monumento dei martiri del 1859, e infine un più recente ampliamento. Già, perché qualcuno ha l’abitudine di non riesumare. Ci sono – al monumentale – parti di cimiteri di altre confessioni, sempre monoteiste, come quello dei musulmani e quello dei Bahà’ì.

Il libro dà anche risposta allo spiritoso quesito: ma i cinesi non muoiono mai? Spiegando che (fonti ufficiali!) solo uno ne è stato imbalsamato e di altri si spediscono le ceneri, perché la compagnia aerea non accetta la salma così com’è. E, a proposito di ceneri, c’è il crematorio arrivato a fine corsa: sarà il caso che il Comune lo ricompri.

Oltre alle tipologie di tombe, si elenca una serie di epitaffi, toccanti, ma anche al limite del ridicolo (“Il mio dio è Marx, il mio vangelo è il leninismo…”). Perché si può essere dogmatici anche da morti. Una sezione riguarda le rappresentazioni fotografiche del defunto, legate all’evoluzione della tecnica e del costume: mai come oggi se ne rappresenta l’aspetto “vitalistico”, in un estremo tentativo di esorcizzare la morte.

Una divertente appendice – che non ha pretese di completezza, ma viene inclusa come semplice materiale di lavoro – riporta più di 600 nomi, femminili e maschili, curiosi o desueti, storicamente interessanti a sancire l’evoluzione culturale e antropologica delle società. Alcuni non compaiono nemmeno nel più completo “Dizionario dei nomi italiani” di Emidio De Felice e ce ne sono di strani, come Leonildo o Turibio, Andola o Pierminna. Un ricco corredo fotografico, opera degli stessi autori, si lega efficacemente al discorso in infratesto.

Un libro colto, con una gran voglia di divulgazione. Un lavoro che – come ha detto in presentazione alla Vaccara Piergiorgio Giacchè – dà conto di un modo di stare al mondo e di tanti modi di ricordarlo.

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