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LETTI PER VOI “Camera 5”. Il libretto postumo di Umberto Raponi

Una biografia artistica e umana, senza cerimonie... né querimonie

“Camera 5”. Il libretto postumo di Umberto Raponi. Una biografia artistica e umana… all’insegna dell’ironia.

Sottotitolo: “Cronache e (S)pensierini dall’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. 28 giugno-10 luglio.” Per la collana “Il tagliacarte. La tramontana delle idee”, una delle tante inventate da quel geniaccio di scrittore e umorista grafico che ne fanno una delle figure più rappresentative del milieu artistico nazionale e internazionale.

Di Umberto ho ricordato le tante iniziative, le mostre curate, i libri scritti a quattro mani, le avventure condivise. Ora, ho in mano il libriccino curato post mortem, dalla figlia Paola, musicista, e dalla moglie Luciana, regina delle artiste dell’acquerello… e tanto altro. 

FOTO - Perugia, l'ultimo libro di Umberto Raponi

Umberto ha voluto lasciarci questa testimonianza di affetto, intelligenza, umanità. Per andarsene col sorriso e con l’ironia verso il mondo e verso se stesso… fino all’ultimo.

Dal ricovero, guardando la parete dell’ala principale del Silvestrini, pensa all’amico Bruno Signorini (“compagno inquieto sulla strada dell’arte”) e commenta: “Il covid entra da un orecchio e esce dall’altro”.

Poi l’ironica descrizione d’ambiente, allegro e caciarone, che lo fa dubitare (“è il protocollo per alleviare le pene dei degenti?”) e la battuta “Si fa un gran parlare della padella, ma nessuno che ti porti un fritto misto di mare (e propone la storica padella passignanese, “la più grande del mondo”).

Quindi il “pappagallo”… senza un’appropriata cultura ornitologica.

Il menù prevede “ossigeno a colazione e due mele cotte al giorno che tolgono il clistere di torno”. Quindi rumori e profumi. Con quei camici (bianco, verde chiaro, celeste, arancio e blu) che gli evocano il suo, nero, utilizzato nel laboratorio di Arti grafiche (forse, quei maledetti acidi per le morsure, la causa prima del suo male).

Ma non perde il senso dell’umorismo: “Per non vanificare il lavoro della donna delle pulizie, ho gettato a terra due cartacce”.

Concludendo: “Una delle poche cose serie che mi è riuscita nella vita è stata quella di ammalarmi”. Non senza ironia macabra, la sua preferita: “Gli intubati non sono una razza di piccioni selvatici”.

Provocando, come sempre: “Dottore, ogni volta che accendo la tv vedo Mieli e Sallusti… è grave?”.

Capisce, dalle coccole dei suoi, che le cose non vanno tanto bene. La battuta: “Tutto a posto?” / “Sì, meglio di così si muore…”.

Il 6 luglio realizza un “lui” spalmando sulla carta quanto resta di una vaschetta del mirtillo Conad.

Fino all’ultimo lavora alle facce da biro e il 7 di luglio fa un autoritratto, con lettino e flebo, titolando (parafrasando Primo Levi) “Sì, questo è un uomo. H.S.M. della Misericordia, Perugia”. Opera messa in quarta. Scherzava, Umberto, su quel tremolio. L’ultima volta che l’ho visto mi ha detto: “Le caricature vengono meglio!”. E io – goloso e geloso – ne ho accumulate tante.

In extremis hai avuto il coraggio di parafrasare Primo Levi, mutando il “se” in sì” [racconta la dida: “Sì, questo è un uomo”].

Quest’ultimo autoritratto, un piccolo capolavoro, caro Umberto, come quelli che mi hai portato, al mio studio, poco prima del tuo ricovero. Ti rivedo su quella poltrona, col fido Pignattini (ex alunno) che ti aveva accompagnato. L’aria signorile, il sorriso furbetto e complice, lo sguardo finto spaesato.

Grazie, Umberto, per quest’ultima giullarata. Grazie per essertene andato senza cerimonie né querimonie. A ciglio asciutto, con ironia e dignità. Come al solito: con leggerezza. Una levità che ti conoscevamo e che hai voluto testimoniare au bout du souffle/fino all’ultimo respiro. Perché, per volare alto, non servono le ali: basta essere ‘leggeri’. Come sei stato tu: omone di notevole altezza fisica. Di quella umana e morale nemmeno parlo. Tanto ci siamo capiti lo stesso!

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