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E il tradizionale concerto degli auguri al Morlacchi si trasforma in un curioso happening

Un evento che ha saputo egregiamente coniugare la musica colta e il gusto rotondo del pubblico che dimostra un bisogno spasmodico di cultura, travestita da leggerezza

E il tradizionale concerto degli auguri (“Vienna, Vienna!”) si trasforma in un happening. Si è tenuto l’ormai consueto concerto al Morlacchi, sotto l’accorta direzione del Maestro Salvatore Silivestro, direttore artistico dell’Agimus di Perugia (che ha appena compiuto il sessantesimo anno di vita!) e presidente nazionale dell’associazione che mette sotto i riflettori i giovani musicisti.

Il ruolo di orchestra ospite è toccato stavolta alla Sinfonica nazionale del Kazakhstan, ex repubblica dell’Unione Sovietica (compagine diligente che, quant’altre mai, ha offerto un numero strabordante di violinisti maschi, ma di cui abbiamo specialmente ammirato i fiati e le percussioni).

Silivestro è un compositore lattato alla scuola di Valentino Bucchi, Luciano Chailly e Roman Vlad, ma anche direttore cresciuto alla Chigiana di Siena con Franco Ferrara, oltre che pupillo di Francesco Siciliani che lo volle alla Sagra Musicale Umbra, alla guida di complessi corali e orchestrali.

Silivestro è anche un magnifico istrione, colto in campo musicale e letterario, particolarmente fornito di doti di affabulazione e di (auto)ironia. Tanto che la prima parte del concerto procede nei binari del risaputo, prevedendo Rossini (nel 150° dalla morte), Verdi, Mascagni, Bizet, Tchaikovsky e Von Suppé. Tutti impeccabilmente eseguiti con rigore e competenza.

Ma il Maestro e la platea si scatenano nella seconda parte del concerto. Quella che propriamente si lega a Vienna, al Danubio, al valzer, a Johann Strauss. Qui i numeri musicali si integrano con quelli da varietà, in una dimensione di scoperta complicità con un pubblico partecipe e desideroso di divertirsi.

Tanto che il Maestro invita gli spettatori a fischiare, mimando il canto degli uccelli, e a fare “cucù”. Un gruppo di giovani, che regge la claque, tira. E gli altri… tutti dietro. Tanto che poi Silivestro ci riprova col brano “I chiacchieroni”, invitando il pubblico a parlare e rumoreggiare (a tempo, mi raccomando!).

Non poteva mancare – al momento de “Il galoppo dei sospiri” – l’esortazione a sospirare. Non senza aver premesso che ci sono i sospiri d’amore, quelli di malinconia, quelli dello jellato… premendo il pedale su quelli dell’eros.

La chiusa non poteva risparmiarci la Marcia di Radetzky, un must validato da tanti anni di incosciente dimenticanza della sconfitta di Custoza. Ma è una marcetta che consente di battere le mani ritmicamente. E, oblio storico a parte (acqua passata non macina più!), un pezzo del genere ci sta sempre bene. Silivestro ci mette del suo con una direzione disinvolta e… ginnica. Un evento che ha saputo egregiamente coniugare la musica colta e il gusto rotondo del pubblico che dimostra un bisogno spasmodico di cultura, travestita da leggerezza.

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