Nasce "Made in Umbria", una community dedicata al fatto a mano. A Officine Fratti il primo appuntamento
Arriva un nuovo progetto dedicato al #madeinumbria. A farsi promotori di questo nuovo esperimento è la neonata Associazione di Promozione Sociale Officine Fratti, che da oramai un anno ha sede nel nuovissimo hub cittadino in una traversa di via dei Priori, insieme all'Associazione Make organizzatrice di Week Hand - Festival del Fatto a Mano di Foligno che ogni anno richiama artigiani e visitatori da tutta Italia e in collaborazione con il Comune di Perugia.
Che cos'è Made in Umbria? È un esperimento in primo luogo, nato dalla volontà di riunire per la prima volta tutti gli artigiani che vivono e operano in Umbria in una stessa location per due giorni per un evento unico nel suo genere. Oltre agli 8 progetti che fanno da padroni di casa a Officine Fratti - Beste Ural Design, La Penny dress, Ta Petite, Roompicapo, Vintage Rust, MeetNet, Art for Souvenir e Agraft Collezione Alunni– il pubblico chiamato a visitare le Officine potrà trovare da tutta l'Umbria altri venti artigiani e designer di altissimo livello. Fra cui Abiuno, Attacca Bottone, Back From Rubbish, Bucciotteria, Chiara Bordoni gioielli, Camiceria Caposanmarco, Filo di lana, Francesca Greco Illustration, HOLY FOOD - genuino market, Ideastars, Initinere_gioielli, Isa&Isa Ceramiche, KitCut studio, Kosmika, LABEL, Mud is Mood, NUOVA LINEA Produzioni di design, Poetryon, Quiin Shoes, Roger Cavinatto. Abbigliamento, accessori, ceramica ma anche illustrazioni, gioielli, amigurumi, home decor, scarpe e poesia. Un'esperienza di acquisto a chilometro zero quindi, che punta tutto su oggetti unici, artigianali fatti con amore e per di più in Umbria.
L'idea che però sta alla base di Made in Umbria è il concetto di community. Ma, che significa far parte di una community? Dal blog di Francesca Baldassarri prendiamo in prestito alcune righe. Essere in un gruppo Facebook, così come ritrovarsi al bar ogni sabato mattina, non vuol dire necessariamente essere parte di una community. Una comunità è fatta di persone che possono parlare del più e del meno o anche spettegolare e sparlarsi alle spalle ma che, nel momento del bisogno, si aiutano a vicenda o si uniscono per raggiungere uno scopo comune. In questo senso, una comunità è tale se è partecipata, se i suoi membri sono attivi, altrimenti si tratta di una trasmissione a direzione unica, c’è qualcuno che dice cose e altri che assorbono più o meno passivamente. Il fatto è che il concetto di “attività”, al tempo dei social, ha subito uno spostamento verso azioni dall’effetto spesso insignificante o nullo. Mettere un like o un commento ci fanno sentire “attivi” (abbiamo fatto qualcosa) ma quali sono gli effetti pratici di queste azioni? Sono davvero azioni, se non producono effetti che non siano numeretti su uno schermo? Infine, si può avere una community senza una “piattaforma” o, se vuoi, un luogo d’incontro? Il bar è una piattaforma, così come il gruppo Facebook: sono spazi dove le persone possono incontrarsi e interagire. I luoghi di incontro, oggi, sono tanti e frazionati: ognuno di noi fa parte di numerosi gruppi Facebook, frequenta innumerevoli pagine e profili social, senza contare i luoghi reali (la piazza del paese, l’oratorio, il bar, il club del libro, le serate di knitting…). E’ normale fare parte di tante comunità, ognuno di noi, crescendo, ha imparato a gestirle, solo che coi social sono diventate davvero tante. Se ti chiedessi, riguardo alla tua attività creativa, a quale community ti senti appartenere, cosa risponderesti? E perché ti senti parte di questa community? Cosa ha fatto per te e cosa hai fatto tu per la community?
Creare un senso di appartenenza e unione è un altro requisito delle community che funzionano: questo senso di appartenenza genera unione tra i membri del gruppo e li spinge a collaborare in armonia. (Qui potrei aprire una parentesi su come, a volte, questo senso di appartenenza viene sollecitato da chi gestisce le comunità, utilizzando dei “nemici esterni”, ma non ho le competenze per sproloquiare sulla teoria dell’identità sociale e di ingroup e outgroup. E sì, capita anche alle comunità di creativi, l’ho visto accadere: il “nemico” può essere un’altra comunità di creativi o una piattaforma, di fatto il senso di appartenenza riceve un boost perché si fa leva sul ‘noi’ contro ‘loro’. Ti suona familiare? Eccerto, lo vediamo accadere anche in politica, da sempre.)
Grazie al senso di appartenenza, community molto piccole possono riuscire a fare grandi cose: pensate al Cristianesimo, partito da quattro gatti e arrivato a vette di diffusione e potere inimagginabili!