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INVIATO CITTADINO Al cinema S. Angelo prima nazionale di ‘Medioevo, paure e nostalgia’ di Roberta Capelli dell’Università di Trento

Al cinema S. Angelo, prima nazionale di ‘Medioevo, paure e nostalgia’ di Roberta Capelli dell’Università di Trento. Evento organizzato dallo Studium e dal Centro Studi galeghi, nelle
persone dei professori Carlo Pulsoni e Marco Paone.  Ricorda il delegato del rettore (Orientamento, tutorato e divulgazione scientifica) Roberto Rettori: “Interessanti percorsi aperti di alta formazione, volti al superamento delle tradizionali barriere disciplinari”. Un’anteprima – questa al cinema di Mauro Gatti – utile a sfatare molti miti legati al medievalismo. E alle diverse valutazioni (ipo o iper) connesse al Rinascimento e al Romanticismo.

Perché parecchio di quanto circola sul Medioevo, anche in ambienti di buona cultura, è marcato dal pregiudizio, dal luogo comune, dalla banalità rimasticata fino a diventare vulgata. Anche un capolavoro come “Il nome della rosa” porta lo stigma di qualche convenzionalità. Insomma: occasioni di equivoci non mancano. E bene ha fatto Roberta Capelli a intraprendere questo percorso, pur disponendo di un budget ridotto e di collaborazioni gratuite (ad ampie e differenziate specificità) che fanno di questo prodotto “fatto in casa” (intendiamo il Trentino) uno strumento didattico atto a rimuovere visioni distopiche e raffazzonate. Filmato tecnicamente perfettibile, ma scientificamente ineccepibile.

Esemplare l’intervento di Attilio Bartoli Langeli, connotato da intelligenza divergente, originalità di analisi, acribia di studioso. Con puntute osservazioni che alternano lampi di intuizione e sciabolate d’ironia. Le tre-quattro cose buttate lì con nonchalance ci riportano alle giuste critiche sul medievalismo straccione e sulle rimasticate banalità dei secoli bui. In nome della visione di un Medioevo divertente e vivace, colorato ed esemplare prototipo di democrazia dal basso.

“Basta – dice Attilio – con l’ideologia delle radici! Immagine ingannevole ed escludente. È ora di reclamare autonomia e identità del presente. Rivendicando il diritto di essere quello che siamo, quello che vogliamo (e cita il bel libro di Maurizio Bettini, ‘Contro le radici’). Insomma: Si può appartenere a una tradizione senza esserne prigionieri. Questo il succo che se ne può trarre. Questo e molto altro ha magistralmente detto Attilio, ineguagliato (per me) presidente della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria. Ghiottissima la notizia, nuova per il sottoscritto, del  cambio di orientamento dei mori nel simbolo della regione Sardegna. Un evento, questo al S. Angelo, che ci ha ricordato (e, come appartenenti alla ‘categoria’, ne abbiamo goduto) almeno un poker d’insegnamenti.

Il primo: magister sta per “magis+ter”, ossia tre volte più grande (mentre minister è da minus+ter!).

Il secondo: In-segnare significa ‘lasciare un segno’.

Il terzo: Educare non è riempire vasi ma accendere fiaccole.

Il quarto: la cultura è generosità. Che vale a dire: quell’ora e mezza al S. Angelo, con Capelli, Pulsoni e Bartoli-Langeli ci ha fatto bene al cuore e al cervello. Beneficio che, coi tempi che corrono, non mi sembra cosa da poco.

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