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Al Love Film Festival di Perugia si sviscera il “me too” fra scandalo vero e… verità taroccate

Sold out in Galleria per l’incontro sul tema “Donne di Spettacolo sulla violenza di genere”

A Perugia si sviscera il “me too” fra scandalo vero e… verità taroccate.

Sold out in Galleria per l’incontro del Love Film Festival di Daniele Corvi sul tema “Donne di Spettacolo sulla violenza di genere”. Ne parlano Eleonora Brown (protagonista del film Oscar “La ciociara”, accanto a Sofia Loren), Fania Petrocchi (dirigente di Rai Cinema), Raffaella Paleari ed Eleonora Pieroni (entrambe attrici). La giornalista Virginia Camerieri coordina e modera il dibattito.

Si entra subito in medias res sottolineando l’attualità del tema e lo scandalo sollevato da Asia Argento e da altre colleghe. Il passaggio attraverso il divano del produttore costituisce un must, validato dalla consapevolezza generale. Ma non è sempre così.

Esempio lampante nella testimonianza di Eleonora Brown, stuprata nella finzione scenica dal capolavoro di Moravia, ma donna esemplare, corretta, capace di tenere le distanze. Tanto che con lei non ci hanno nemmeno provato. E si è allontanata dal mondo del cinema solo per ragioni familiari e affettive, confinandosi nella nicchia del doppiaggio d’autore e riemergendo oggi, sollecitata da proposte di qualità.

Il ragionamento, condiviso dalle testimoni, è che – in qualche caso – le aggressioni sono il frutto di un’impostazione sbagliata nel rapporto professionale.

Si dice: non si fa un provino in una camera d’albergo, non si accettano inviti equivoci che si fondino su tentativi smaccati di seduzione, se non di violenza. Specie con personaggi preceduti da una fama inequivoca in materia.

Perché la questione è emersa solo di recente, quando se ne aveva contezza da sempre?

Perché dieci anni fa la rivelazione era impensabile, anche per il clima di diffuso maschilismo imperante nei media. Tenendo anche conto delle conseguenze esiziali sul piano della carriera.

Accordo anche sul fatto che, in qualche caso, sono le donne ad assumere atteggiamenti sbagliati. E qui si fa l’esempio di una giovane donna, di professione avvocato, che cercava di entrare in uno studio per il praticantato. In ben tre occasioni, i titolari dei rispettivi studi ci hanno provato. Ci si chiede il perché, e si risponde: la donna si era proposta in atteggiamento ambiguo, seduttivamente complice, tanto da lasciar intuire una disponibilità in quella direzione.

Ma allora si vuol dire che la donna non può (s)vestirsi come le pare?

L’abbigliamento audace non è una buona ragione per giustificare le aggressioni. Ma è pur vero che una professionista deve puntare sulle capacità e non sulle apparenze, spesso improprie e inadeguate alla circostanza. Conclusione condivisa anche dal pubblico che applaude convintamente.

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