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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia

DOSSIER Vino in Umbria, una nuova sfida difficile per restare nei mercati che contano: farlo diventare un'esperienza unica...

Gli ultimi anni ci hanno dimostrato che sigle ed etichette non bastano più ad accontentare chi viene a visitare la nostra regione

La nostra regione produce sia vini rossi che bianchi, quasi equamente divisa. All'interno del suo territorio piuttosto contenuto, l'Umbria vanta 17.000 ettari di vigneti caratterizzati da rese medie per ettaro piuttosto basse, solitamente un presupposto per la produzione di alta qualità. Il vitigno bianco più diffuso
è il Grechetto, seguito da Trebbiano Toscano, Malvasia Bianca, Verdello, Canaiolo Bianco e Procanico. I vitigni rossi più comuni sono invece Sangiovese, Ciliegiolo, Canaiolo Nero, Montepulciano, Barbera e Sagrantino. Nel territorio della regione si trovano anche alcuni vitigni internazionali come il Merlot, il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay e il Riesling.

Negli anni Sessanta la viticoltura in Umbria comincia a guadagnare importanza internazionale con il riconoscimento della prima DOC della regione, Torgiano, riconosciuta nel 1990 come Torgiano Rosso Riserva DOCG. La regione vanta anche un altro vino DOCG, il Montefalco Sagrantino, oltre a 12 vini DOC e 6 IGT.

Ma cosa significano tutte queste sigle? Nella Piramide italiana della classificazione dei vini, è possibile individuare in modo immediato la suddivisione nelle quattro categorie principali definite dalla normativa di legge italiana volta ad evidenziare i diversi aspetti qualitativi del vino. Alla base troviamo i vini generici ed i vini varietali italiani (meglio noti come il vecchio tavola bianco e tavola rosso). Nella fascia centrale troviamo il vino I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta) Le uve da cui è ottenuto questo tipo di vino provengono per almeno l’85% esclusivamente da tale zona geografica. 

Le diciture DOC (di origine controllata) e DOCG (di origine controllata e garantita) non hanno più valenza legale dal 2009 ma continuano ad essere usate perchè entrate nella divisione di settore. La prima indica vini prodotti in un’area territoriale delimitata con caratteristiche chimiche e organolettiche ben precise, fissate a priori nei regolamenti di produzione.

La sigla DOCG invece è ancora riservata ai vini di particolare pregio, con elevate caratteristiche qualitative intrinseche e che hanno acquisito rinomanza e
valore commerciale a livello nazionale e internazionale. Prima di essere riconosciuti come DOCG questi vini devono aver avuto una militanza di almeno sette anni tra vini DOC. La legge fissa inoltre la capacità massima delle bottiglie commercializzate che non può superare i 6 litri.

Ogni singola bottiglia deve essere munita di uno speciale contrassegno, stampato all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato o da tipografie autorizzate, ossia una fascetta con un’indicazione di serie e un numero di identificazione. Tale fascetta è assegnata agli imbottigliatori per ogni singola bottiglia prodotta e/o partita. Tuttavia gli ultimi anni ci hanno dimostrato che sigle ed etichette non bastano più ad accontentare chi viene a visitare la nostra regione: la metà dei turisti (dato che è destinato a crescere) appartiene alle generazioni Y e Z - i cosiddetti nativi digitali venuti al mondo dopo il 1980 - che, oltre a non disdegnare l’esplorazione di destinazioni meno di massa, sono molto attenti all’esperienza del consumo più che al consumo di un prodotto. 

Anche per questo, affinché il mondo del vino accresca le sue capacità attrattive deve essere percepito sempre meno come un prodotto esclusivamente tangibile e sempre più come bene carico di valori e portatore di esperienze. In sostanza, deve riuscire ad esaltare la sua dimensione immateriale e culturale. Per far questo ha bisogno di stringere quante più sinergie possibili, innescando un connubio virtuoso da cui trarre più chance di fruizione ed esperienza.

Quindi benissimo la possibilità di imparare ricette della tradizione umbra, godendosi l'accompagnamento dei vini tipici di ogni cantina, o la ricerca della foto perfetta passeggiando tra le colline impreziosite di vigneti ma poi è necessario avviare un percorso caratterizzante che faccia diventare centrale l’utilizzo delle arti nella costruzione delle strategie di marketing aziendale. "Questo approccio - spiega Giuseppe Coco, ricercatore di Aur, Agenzia Umbra Ricerche - è quello che meglio favorisce la messa a punto di tutta una serie di pacchetti di interventi in grado di far percepire una cantina: creativa, innovativa, il cui obiettivo sia puntare all'accellenza ma con un'attenzione particolare all’impatto sociale, al miglioramento dei rapporti con i territori e le comunità dove si trova. Che non offre quindi soltanto un prodotto ma qualcosa di più: un’esperienza che va a toccare nel profondo chi ne è coinvolto e che finisce col
suscitare sensazioni e sentimenti positivi". 

Seguendo questo orientamento le cantine riescono anche nella difficile missione di diventare luoghi più interessanti perché capaci di:
° mettere al centro il valore dell’unicità alternativo alla standardizzazione;
° esaltare il tempo vissuto con lentezza e opposto alla frenesia che genera stress;
° veicolare storie, nella consapevolezza che il dire senza narrare finisce con l’essere un gesto debole;
° amplificare il concetto di razionalità mediata da sentimenti e passioni, che è un registro tipico della cultura tutta.

"Questo approccio - continua Coco - non manca di valorizzare sotto un profilo economico le singole cantine, favorendo: rafforzamento dell’immagine e della visibilità; incremento del prestigio rispetto ai  competitor; aumento del valore patrimoniale". Alcuni esempi virtuosi già esistono nella nostra piccola realtà, basti pensare al Museo dell'Olio e del Vino di Torgiano, in cui la famiglia Lungarotti è riuscita - attraverso un sapiente uso della storia e dell'arte - a legare il proprio nome alla tradizione viticola e olearia alla lunga tradizione del territorio.

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