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L'Umbria non riparte e ora è allarme rosso. Torna lo spettro di nuovi licenziamenti. Boom di lavoro da un giorno e via

L'aumento della cassa integrazione è collegato direttamente alle crisi aziendali e in molti casi rischia di preludere al licenziamento

L'Umbria non riparte. Dodici anni dopo la grande crisi che ha cambiato il tessuto economico della regione e che sta provocando una impensabile emigrazione di giovani e lavoratori, i dati sul lavoro sono impietosi. In pochi mesi cancellati i piccoli progressi del 2018. C'è un forte ritorno al paracadute della cassa integrazione nel periodo gennaio-settembre 2019. "Si è interrotto il ciclo (2014-2018) - hanno scritto nella relazione la Cgil, il maggior sindacato dell'Umbria - nel quale l’utilizzo di questo ammortizzatore sociale aveva visto una diminuzione consistente delle ore. In Umbria l’aumento complessivo è pari a +28,2%, più alto del dato nazionale (+16,27%). Infatti, le ore complessive di CIG nella nostra regione passano nei primi nove mesi da 3.201.316 del 2018 a 4.104.190 del 2019. In questo quadro l’aumento più rilevante è quello della cassa integrazione straordinaria, che nel periodo gennaio-settembre 2019 aumenta del 84,55%".

L'aumento della cassa integrazione è collegato direttamente alle crisi aziendali e in molti casi rischia di preludere al licenziamento. L’andamento del consumo delle ore di cassa integrazione, soprattutto per quanto riguarda la CIGS, è direttamente collegato al miglioramento o al peggioramento dell’attività industriale e dell’economia. "Questa situazione si riverbera anche sulle domande di disoccupazione (NASPI), anche loro in costante aumento nella regione": hanno ribadito dal sindacato. I dati dell’Inps riferiti a gennaio-agosto 2019 indicano quota 16.916 con un trend in aumento rispetto al 2017 e al 2018. Il lavoro dunque non c'è. Le opportunità, a differenza del resto del Paese, non ci sono. E quel poco di lavoro rimasto è precario, povero e di poco valore economico.

L'Umbria è la prima regione per l'uso del lavoro a chiamata (detto anche intermittente o “job on call”) è una delle forme più povere e precarie del variegato e complicato mercato del lavoro italiano. Più 20,7% nel secondo trimestre del 2019 a fronte di una media italiana di poco sotto il 10 per cento. I dati dell'Ires, istituto di ricerca della Cgil, da gennaio a luglio indicano oltre 7mila contratti. "Il lavoro a chiamata - ha analizzato Mario Brevi dell'Ires Cgil - può durare anche un solo giorno ed è presente soprattutto nei settori del turismo, dello spettacolo, della guardiania e della reception. Questa tipologia di lavoro ha avuto una vera e propria esplosione nella nostra regione, dove il lavoro precario continua ad estendersi".

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