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Studio Svimez su crisi da Covid: l'Umbria a sorpresa perde meno punti del Pil rispetto alle previsioni e batte Marche e Toscana

La decrescita umbra quindi risulta allineata a quella nazionale. Insomma, la frenata c’è stata, come del resto ovunque e non solo in Italia, ma non così pesante come si temeva.

Le stime di crescita e la ripresa prevista non sembrano bastare per riportare l’Umbria ai livelli di Pil (Prodotto interno lordo) pre-Covid. Anche se la situazione non è così grave come sembra. E’ quanto emerge dall’ultimo studio condotto da Svimez, l’associazione senza fini di lucro che si occupa dello sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno. L’Umbria ha registrato una perdita del Pil nel 2020 dell’8,5%, a fronte del -8,9% a livello nazionale, ponendosi così settima tra le regioni italiane ordinate per intensità di recessione (le vicine Toscana e Marche hanno superato rispettivamente il 10 e l’11% e sono le ultime in graduatoria). La decrescita umbra quindi risulta allineata a quella nazionale. Insomma, la frenata c’è stata, come del resto ovunque e non solo in Italia, ma non così pesante come si temeva.

Le previsioni per la ripartenza vedono il Centro allineato ai valori medi nazionali e in particolare un’Umbria con una crescita del 4% e 3,8% rispettivamente per l’anno in corso e per il 2022. A livello nazionale le previsioni si attestano intorno al 4,7% per l’anno in corso e al 4% per il prossimo anno. Ancora una volta emerge un Paese a due velocità: pur con qualche eccezione, più sostenuta sarà la ripresa delle regioni del Nord, soprattutto del Nord-Est, dove si stima una crescita del 6,2% e 5,0 % rispettivamente nel 2021 e 2022. Il fenomeno osservato per il Pil – un calo leggermente più attenuato dell’Umbria rispetto alla media nel 2020, ma ritmi un po’ più rallentati per la ripresa nel biennio successivo – è quanto si ripropone sul fronte occupazionale: -1,4% (contro -2,2 dell’Italia) nell’anno dello shock pandemico seguiti da aumenti dell’1,4 e del 2,% nel 2021 e 2022 (a fronte di 1,7 e 2,9% italiani).

E’ ottimistica anche la previsione sulla risalita dei consumi. Per la spesa delle famiglie, che nel 2020 aveva segnato in Umbria un calo dell’11,6% (-12,1 in Italia), il recupero della regione si prevede più accentuato nell’anno in corso (+3,6% contro il +3,2 italiano). La più lieve diminuzione dei consumi delle famiglie riscontrata in Umbria durante lo scoppio della pandemia è conseguenza di una contrazione del reddito disponibile delle famiglie consumatrici assai più contenuta che nel resto del Paese: -0,5%, a fronte di -2,8 in Italia, -2,1 del Centro, -2,7 del Centro-Nord. Ma ad attenuare la decrescita dei redditi disponibili hanno contribuito altresì le misure di sostegno e di contrasto alla povertà di cui la regione ha fruito ampiamente. Ma ad attenuare la decrescita dei redditi hanno contribuito altresì le misure di sostegno e di contrasto alla povertà di cui la regione ha fruito ampiamente.

Un altro fattore che spiega perché sia un po’ meno marcata rispetto ad altre realtà territoriali la caduta del Pil nella nostra regione durante il 2020 è la percentuale degli investimenti, che si attesta ad un meno 4,3%, valore ben più contenuto di quello della media nazionale e delle regioni del Centro Nord (oltre il 9%). Con il Piano di ripresa e resilienza nazionale gli investimenti diventano i protagonisti assoluti del prossimo quinquennio, per recuperare un lungo periodo di declino, colmare un gap allargatosi nel corso degli anni e per compiere quel salto di qualità resosi necessario ancor prima che scoppiasse la crisi pandemica. “È sempre utile ricordare infatti che l’obiettivo di oggi non è tanto recuperare quanto si è perso nel 2020 in Pil, occupazione, redditi” spiega Elisabetta Tondini, responsabile della sezione Processi e politiche economiche e sociali dell’Agenzia Umbria Ricerche “poiché lo shock da Covid ha trovato un Paese e una regione sofferenti da tempo in quanto malati cronici di decrescita. 

Nel 2019 il Pil italiano era ancora circa 3,4 punti sotto il livello ante crisi finanziaria, e l’Umbria tre volte tanto. Ecco perché i prossimi anni sono cruciali: il passaggio attraverso nuovi paradigmi economici basati sulle potenzialità delle tecnologie digitali e concepiti nel rispetto della questione ambientale sarà ineludibile ma, certo, non facile. Enorme è l’entità delle risorse stanziate per attivare l’ingente mole di interventi pensati per la ripresa del Paese e l’effetto più immediato, secondo i noti meccanismi keynesiani, non potrà che essere positivo, per una iniziale spinta alla crescita. E, da questo punto di vista, i numeri della performance economica stimati per i prossimi anni potrebbero essere verosimilmente più alti. Altra cosa è invece l’esito finale delle misure scelte, ovvero gli effetti complessivi e duraturi sulla competitività del sistema Paese, che si potranno apprezzare solo a medio-lungo termine”.

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