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Economia

LA RICERCA Mercato del lavoro, l'Umbria nel 2021 leader nel Centro Italia per l'occupazione ritrovata. Ma i contratti a tempo ora fanno paura

Ma ancora una volta i posti di lavoro per le donne crescono più lentamente rispetto all'occupazione maschile

Il 2021 è stato un anno di crescita per l'occupazione in Umbria: si è stabilizzata a partire da giugno, toccando quota 356.600 a fine anno. In media, si sono contate 6 mila unità in più rispetto all’anno precedente, per un tasso di crescita del 1,7%, superiore a quello nazionale (0,8%) e a quelli del Nord (0,6%) e del Centro (0,4%). Anche il 2020 aveva segnato una più contenuta perdita di occupazione nella nostra regione rispetto alle altre aree del centro Italia. E' quanto emerge dall'ultimo rapporto di Agenzia Umbra Ricerche (Aur) su elaborazione dei dati Istat.

Andando più nel dettaglio, si nota inoltre che il riassorbimento di coloro che avevano perso il lavoro durante la pandemia si è verificato in prevalenza con contratti a tempo determinato: è la conseguenza della comprensibile cautela degli operatori, riaccesa anche a causa delle recentementi preoccupazioni derivanti dalle conseguenze economiche della guerra in Ucraina. Il rischio è che la prevalenza di  contratti a termine possa diventare un elemento strutturale che penalizza il lavoro sotto diversi punti di vista, primo tra tutti quello economico, considerando che la retribuzione oraria dei tempi determinati è inferiore del 29,7% rispetto ai tempi indeterminati.

Altra nota dolente è il calo in Umbria delle persone in cerca di lavoro: già da ottobre 2020 i disoccupati erano 22 mila, per una media annua di 25 mila unità, in sostanza 6.400 in meno rispetto all’anno precedente. Una diminuzione di oltre un quinto, in controtendenza rispetto all’aumento del 2,9% occorso in Italia, dello 0,9% nel Nord e del 5,6% nel Centro. Insomma un anomalo passaggio di persone che, scoraggiate dalla situazione, hanno interrotto la ricerca attiva di un lavoro o momentaneamente sono impossibilitate a lavorare, passando dallo status di disoccupati a quello di inattivi. Tradotto in cifre significa una diminuzione del numero di forze di lavoro potenziali: -7,6% su base annua. Un fenomeno, che non va sottovalutato, perché può nascondere una disoccupazione latente, considerando la presenza di persone che, pur disposte a lavorare, un impiego non risultano cercarlo attivamente. Non a caso il report dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), "Prospettive occupazionali e sociali nel mondo: tendenze 2019”, indagando sul rapporto tra disoccupati e forze di lavoro potenziali, ha individuato un indicatore per spiegare quanto gli sforzi compiuti per ricercare un lavoro e la propensione ad accettarlo influenzino il grado di “vicinanza” della domanda al mercato stesso: più basso è l’indicatore, maggiore è il numero di persone che incontrano problemi nella ricerca di lavoro o nell’accettare proposte di lavoro, dunque maggiore è la debolezza del livello di vicinanza della domanda al mercato. 

Dal 2018 al 2021 il peggioramento di tale indicatore è generalizzato ma l’Umbria si mostra meno debole sotto questo profilo (il valore passa da 1,3 a 0,9), allineandosi al Centro ma un po’ al di sotto del Nord. A livello nazionale, si connota per valori molto più bassi rispetto alle vicine Spagna, Francia, Germania: l'Italia ha registrato lo 0,9 nel periodo 2016-2020 a fronte, rispettivamente di 3,8, 2,9, 1,8 delle nazioni appena citate. Riassumendo, l’aumento degli occupati da un lato e la diminuzione della popolazione in età lavorativa dall’altro hanno determinato un balzo in avanti del tasso di occupazione che, nell’ultimo trimestre del 2021, si è portato al 65,3% (un valore di poco inferiore a quanto registrato nel quarto trimestre 2019). Un indicatore che, sempre superiore alla media nazionale (59,5%) e delle regioni del Centro Italia (63,9%), resta comunque al di sotto di un buon 3,3% rispetto all’area settentrionale del Paese (67,6% ). Sempre stando ai dati dell’ultimo trimestre 2021, il tasso di disoccupazione dei 15-74 enni scende in Umbria al 5,8% (appena sopra il 5,7% del Nord e a fronte del 9% italiano e dell’8,4% del Centro), e quello di inattività al 30,5% (al lineato a quello del Centro, superiore al 28,2% del Nord e inferiore al 34,5% italiano).

Sotto un’ottica di genere, in Umbria la risalita dell’occupazione nel 2021 ha coinvolto più gli uomini che le donne (+2,0% e +1,3% rispettivamente), contrariamente a quanto occorso a livello nazionale e nel centro-nord del Paese. La crisi occupazionale infatti era stata nella regione segnatamente maschile: 6 mila unità a fronte di 3.900 occupate in meno. Nel 2020, le occupate in Umbria, pur a fronte di una perdita sul fronte del lavoro dipendente superiore a 4 mila unità, avevano beneficiato di oltre 1.700 assunzioni nel pubblico impiego, in ambito sanitario ma soprattutto nella scuola. Il lavoro, quindi,continua per il 55,2% a essere caratterizzato da uomini (57,8% in Italia, 55,9% al Centro-Nord).

Alla fine dello scorso anno, sul fronte maschile, si sono registrati circa 2.200 occupati in meno e 3.100 disoccupati in meno rispetto al 2019 e 590 forze di lavoro potenziali in più (nel 2020 erano aumentate di 3.300). Sul versante femminile, oltre a 1.800 occupate e a 5 mila disoccupate in meno rispetto al 2019, vi sono anche 3.600 di forze di lavoro potenziali in più. Tirando le somme, i dati ci restituiscono un quadro complicato: il lavoro è sì finalmente ripartito, ma il riadattamento delle persone a una nuova normalità sembra essere un processo più lento e più complicato, oltreché più complesso; non aiutano gli sviluppi delle vicende geopolitiche.

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