LA PREVISIONE Umbria verso il collasso generazionale: nel 2040 un paese di anziani e meno 63mila abitanti
Le proiezioni ufficiali dell'Agenzia Umbria Ricerche: una lunga discesa fino a 700mila abitanti. Servono gli stati generali dell'Umbria per ridisegnare da qui ai prossimi 20 anni il futuro...
Lavoro, infrestrutture, sostegno alle famiglie e natalità e rivitalizzazione anche dei borghi: sono queste le parole chiave per non far sparire l'Umbria. Serve un piano complesso da attuare dal 2022 per invertire la rotta e soprattutto ora che i dati economici sono in forte miglioramente. Servono gli stati generali per ripensare e riscrivere l'Umbria tutti insieme come si fece con successo nel dopo-guerra. Non c'è più tempo da perdere. Ecco le previsioni ufficiali. (IL DIRETTORE NICOLA BOSSI)
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In Umbria si attende una decrescita della popolazione nei prossimi due decenni di 63mila persone: 33mila abitanti nel decennio 2020-2030 e una diminuzione ulteriore di 30mila abitanti tra il 2030 e il 2040. E’ quanto emerge dal rapporto Previsioni della popolazione residente e delle famiglie, elaborato dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat). Entro i prossimi 20 anni, pertanto, i residenti della nostra regione passerebbero dagli attuali 870mila a 807mila pari al -7,6%. Nel più lungo termine, nei 20 anni successivi proseguirebbe la discesa fino a toccare la soglia dei 700mila abitanti entro il 2063.E’ doveroso ricordare che i risultati delle previsioni diventano più incerti quanto più ci si allontana nel tempo ma certamente la situazione non è delle migliori..
Riguardo alla struttura per età, lo scenario che si va a prefigurare è caratterizzato da un profondo e irreversibile mutamento che è possibile riscontrare soprattutto se si concentra l’osservazione ai prossimi due decenni, in un arco di tempo, cioè, in cui l’evoluzione demografica è in gran parte scritta nell’attuale articolazione per età della popolazione. Entro il 2040 le persone di 65 anni e più rappresenteranno il 36% del totale, aumentando di 10 punti percentuali rispetto ai livelli attuali. Se più di una persona su tre avrà almeno 65 anni, significa che si ridurrà la quota della popolazione in età da lavoro. In particolare, il rapporto di dipendenza degli anziani, che misura il peso delle persone con più di 64 anni su quelle tra 15 e 64 anni, sarà soggetto ad un aumento di quasi 20 punti percentuali (dal 46% del 2020 al 67% del 2040).
Inoltre, sarà proprio la popolazione in età produttiva quella che subirà la maggiore contrazione. Rispetto al 2020, le oltre 530mila persone in età 15-64 perderanno 100mila unità entro 2040 (-19%) e altre 50mila nei 10 anni ancora successivi (-27%). Per quanto concerne la struttura delle famiglie, l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità condurranno a ulteriori trasformazioni che si inseriscono nella scia di cambiamenti già in atto da tempo. In particolare, tra il 2020 e il 2040 aumenterà il numero di persone sole (+20%), e quello delle famiglie senza figli (+10%) mentre si assottiglierà il collettivo delle famiglie con figli (- 30%).
“Queste prospettive rendono necessario capire quali possono essere gli effetti di un mercato del lavoro sempre più ristretto sulle potenzialità produttive della regione e come sarà possibile adattare le politiche di protezione sociale nel tentativo di mantenere l’attuale livello di welfare” – sostiene Luca Calzola, ricercatore Istat – “Questi mutamenti hanno una ricaduta sociale importante in termini di struttura dei consumi familiari, di supporto domestico e sostegno economico tra le varie
generazioni all’interno delle reti parentali e di partecipazione alla vita attiva delle persone anziane e sole”.
Se si analizzano i dati su scala nazionale, la situazione certamente non migliora: nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha prodotto effetti notevoli sulla demografia, non solo tramite l’aumento della mortalità ma arrivando a incidere persino sui comportamenti riproduttivi. Si aggrava quindi un quadro globale, già fortemente squilibrato da dinamiche demografiche deboli sul versante del ricambio della popolazione, nel quale le stesse problematiche risultano accentuate e moltiplicate. Dati alla mano, le nascite risultano pari a 404mila mentre i decessi raggiungono il livello eccezionale di 746mila. Ne consegue una dinamica naturale (nascite-decessi) negativa nella misura di 342mila unità.
Le iscrizioni dall’estero sono state 221mila e le cancellazioni 142mila. Ne deriva un saldo migratorio con l’estero positivo per 79mila unità, il valore più basso degli anni 2000 e in grado di compensare solo in parte l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale. Per quanto riguarda la mobilità interna si rileva una riduzione del volume complessivo di circa il 12%: sono 1 milione 308mila i trasferimenti registrati tra i Comuni italiani nel 2020; l’anno precedente erano stati 1 milione 485mila. Infine, le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi (saldo per altri motivi) comportano un saldo negativo per ulteriori 121mila unità. Il riflesso di tali andamenti comporta un’ulteriore riduzione della popolazione residente, scesa al 1° gennaio 2021 a 59 milioni 258mila.
Con l’eccezione del Trentino-Alto Adige, dove si registra un timidissimo trend positivo pari a +0,4 per mille, tutte le regioni sono interessate da un decremento demografico. Il fenomeno colpisce maggiormente il Mezzogiorno (-7 per mille) rispetto al Centro (-6,4) e al Nord (-6,1). Molise (- 13,2) e Basilicata (-10,3) sono le regioni più colpite; tra quelle del Nord spiccano Piemonte (-8,8), Valle d’Aosta (-9,1) e soprattutto Liguria (-9,9).