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DOSSIER Il Teatro in Umbria dopo lo tsunami dei Covid: tra abbandoni, precarietà, costi elevati e troppi spettatori anche spaventati

“Con la riapertura ho notato che le persone hanno una gran voglia di tornare a teatro anche se non sono ancora riuscite a liberarsi della paura del contagio"

L'emergenza sanitaria iniziata a marzo 2020 e le conseguenti misure restrittive adottate dal governo su scala nazionale hanno dimostrato una volta di più che nelle crisi sono le realtà più deboli a soffrire maggiormente. E il teatro da questo punto di vista è stato il primo a mostrare l’assoluta fragilità e precarietà in cui versa: a distanza di quasi tre anni, ancora affanna nelle macerie. A soffrire maggiormente non sono state tanto le grandi istituzioni teatrali - in qualche modo hanno approfittato delle risorse economiche statali per appianare i debiti contratti in precedenza, libere a causa delle restrizioni dagli obblighi di investimento in produzione di spettacoli - quanto i singoli individui e le piccole compagnie.

Attori e tecnici hanno dovuto ripiegare su altri lavori, spesso completamente diversi dall’ambito teatrale, per avere la possibilità di mantenersi durante i mesi di stop. Già prima della pandemia il 51,4% dei lavoratori dello spettacolo non superava i 5.000 € l'anno, il 37,5% incassava tra i 5.000 e i 15.000 € annui, solo il 4,2% guadagnava 25.000 €. I provvedimenti governativi messi in campo per contenere gli effetti economici della pandemia, infatti, stabilivano che per poter accedere al bonus d'emergenza una tantum, i lavoratori doveva dimostrare di aver dichiarato nel 2019 almeno 30 giornate contributive, a fronte di una media di 15 previste dall'Inps. Gli altri strumenti cui si poteva accedere erano quelli relativi al lavoro ordinario, non efficaci per i lavoratori dello spettacolo, cioè compagnie, artisti e tecnici, che vivono nella precarietà salariale. 

Gli unici che ne hanno potuto usufruire sono stati gli impiegati, i direttori degli enti più grandi, perlopiù con contratti a tempo indeterminato o pluriennali, già al riparo di una retribuzione stabile, ma non le compagnie, gli artisti, i tecnici che quotidianamente creano il teatro ma vivono nella precarietà salariale più assoluta. In Italia infatti non esiste uno status giuridico di artista, né una ragione sociale specifica per gli enti di produzione e per le compagnie teatrali professionali da sempre confuse nel calderone delle associazioni culturali, delle fondazioni, delle cooperative. Con la riapertura dei teatri, si è riscontrata e ancora si sta riscontrando una carenza di figure professionali: i pochi che sono riusciti a “tirare la cinghia” e non cambiare orizzonte lavorativo ora non ce la fanno a seguire tutte le richieste arrivate con la ripresa dell’attività.

Un altro grande danno lo hanno subìto i giovani attori che si sono iscritti a corsi di arte drammatica: seguire lezioni di recitazione online ha provocato un impoverimento nella formazione. Solo un ulteriore grande sforzo potrà far recuperare le lacune che si sono venute a creare.  Un altro grande strascico della pandemia è la paura di rischiare: sia i circuiti che i diversi Teatri Stabili, come pure gli assessori alla cultura dei piccoli medi comuni, non si sentono sicuri a programmare spettacoli per la prossima stagione, temendo un ritorno alle restrizioni in autunno ma ancora di più hanno difficoltà ad impegnarsi con spettacoli in cui siano coinvolti più di 2/3 attori: con tanti personaggi c’è più possibilità che la tournè si fermi perché qualcuno risulti positivo al covid. Per non parlare dei rischi che si assume il produttore dello spettacolo. Si limitano quindi ad ingaggiare grandi nomi, noti al vasto pubblico, per spettacoli con massimo tre attori e una scena ridotta all’osso.

Nel mondo del teatro amatoriale l’esigenza di ridurre all’essenziale scene ed attori si fa ancora più presente: “abbattere i costi è diventato vitale per le compagnie teatrali amatoriali” racconta Gianni Bevilacqua, attore della compagnia le Voci di dentro di Assisi – “Con la riapertura ho notato che le persone hanno una gran voglia di tornare a teatro anche se non sono ancora riuscite a liberarsi della paura del contagio. È come se dovessero essere rassicurate, stimolate a recuperare l’abitudine a frequentare gli ambienti culturali, soprattutto quelli in cui si svolgono spettacoli dal vivo”. Aggiunge inoltre: “in questi mesi di allentamento delle misure restrittive, salire in scena e vedere i volti delle persone coperti per metà dalle mascherine – ancora obbligatorie a teatro come al cinema – mi ha privato di uno dei momenti più importanti: il contatto diretto con il pubblico. Evitando la percezione diretta attraverso le espressioni del viso i gli stati d’animo del pubblico, mi ha privato di quella percezione sensoriale che fa grande l’esperienza teatrale ed è così fondamentale per chi si mette costantemente alla prova sul palco”.

Una cosa a questo punto è sicura per tutti: il teatro, fatto di spettacoli dal vivo, in diretto contatto con il pubblico non finirà mai. La voglia di fare teatro e di andare a teatro è stata soltanto acuita dalle restrizioni degli ultimi due anni. La pandemia ci ha insegnato infatti che la virtualità tradisce la natura specifica del teatro veramente live, vibrante per respiro, colpo di tosse, applauso, sorpresa, che non può bucare lo schermo, nè avvicinarsi minimamente a poter essere un'esperienza. La specifica del teatro è proprio la relazione e tradurlo per immagini lontane, sfocate o nitide, non può rendere giustizia a nessuna caratteristica che definisce l'esperienza dal vivo. Il video per la possibilità di essere visto e rivisto, stoppato, pausato, filtrato, non può sorreggere la potenza del qui e ora, anzi appiattisce e allontana lo spettatore che cerca l'immediatezza e la vicinanza. L'esperienza teatrale ha la peculiarità di essere come un'esperienza umana: ti fa vivere qualcosa di unico e irripetibile.

È di poche settimane fa l’approvazione del Senato il disegno di legge, per la redazione del Codice dello spettacolo, inteso come un unico testo normativo che conferisca al settore “un assetto più efficace, organico e conforme ai principi di semplificazione delle procedure amministrative e ottimizzazione della spesa”. Riguardo i contratti di lavoro, è prevista l’adozione di tutele specifiche per l'attività preparatoria e strumentale all'evento o all'esibizione artistica; viene disposto il riordino degli ammortizzatori sociali; l’introduzione dell’indennità di discontinuità come indennità strutturale e permanente e l’equo compenso per i lavoratori autonomi. Tra le disposizioni del DDL, c’è anche il riconoscimento della professione di agente o rappresentante per lo spettacolo dal vivo, ossia il soggetto che esercita l’attività di rappresentanza di artisti e di produzione di spettacoli.

È inoltre prevista l’attivazione da parte dell’Inps di specifici servizi di informazione e comunicazione in favore degli iscritti al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo. L'importo massimo della retribuzione giornaliera riconosciuta a fini assistenziali è stato elevato di 20 euro rispetto agli attuali 100 euro. Un’altra grande lacuna che la situazione ha evidenziato e da cui si potrà ripartire per rilanciare il mondo dello spettacolo dal vivo è puntare sulla drammaturgia italiana, intesa come produzione letteraria teatrale: in Europa in fiorente ascesa ma stenta nel nostro paese. Sarebbe una bella occasione prevedere più formazione e fare tesoro di questa occasione per dare una bella sistemata al settore per farlo entrare a pieno diritto tra le eccellenze del nostro paese.

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