Covid e crisi: la mappa (tra alti e bassi) dei settori economici umbri in tempo di pandemia
Questo è il quadro delineato dall’indagine Istat del dicembre scorso sulle imprese con oltre due dipendenti
I settori produttivi umbri durante la crisi economico-sanitaria sono stati colpiti in modo disomogeneo, anche all’interno dello stesso comparto, così come è stata diversa la capacità reattiva delle singole aziende. Ma questa emergenza epocale ha reso i nostri imprenditori più pigri o più pronti a recepire le sfide dei mercati? Le difficoltà hanno insegnato qualcosa o restano un limite invalicabile per la ripresa? Questo è il quadro delineato dall’indagine Istat del dicembre scorso sulle imprese con oltre due dipendenti.
“L’impatto dell’emergenza sanitaria è stato più severo nei confronti delle imprese più piccole - sottolineano Elisabetta Todini e Mauro Casavecchia, autori dell’indagine dell’Agenzia Umbria Ricerche - anche perché tra di esse si concentrano i settori più penalizzati dalle chiusure e
dalle limitazioni imposte per garantire il distanziamento”. La maggiore concentrazione delle imprese in difficoltà è nei settori alberghiero, della ristorazione e in campo turistico, oltre che nel settore edile, a causa di rischi operativi e di sostenibilità dell’attività, riduzione della domanda conseguente alle limitazioni indotte dal distanziamento e a problemi di liquidità.
Di contro le proattive in espansione o avanzate trovano una maggiore diffusione nell’industria e nel commercio, anche se temono comunque una riduzione dell’attività a seguito dei contraccolpi subiti dal commercio nazionale e mondiale, oltre che dai problemi connessi all’aumento dei costi di materie prime-semilavorati e dei trasporti. Analizzando i dati possiamo anzitutto distinguere due macrocategorie: le aziende statiche, che non hanno adottato un quadro strategico particolare per reagire alla crisi, e quelle proattive, che hanno risposto con strategie mirate in risposta alla crisi del 2000. Al primo profilo rispondono il 65% delle realtà analizzate, in linea con il dato nazionale. Le aziende proattive sono il rimanente 35% ma corrispondono al 58% di addetti e al 65% del valore aggiunto. Hanno cioè buone capacità di generare reddito e occupazione. Di queste ultime, infatti, fanno parte le realtà più solide per dimensione e capacità produttiva.
Da un’analisi più approfondita dei dati Istat emergono cinque differenti categorie di aziende. Le aziende statiche resilienti (23,2%) che non hanno messo in atto strategie di reazione perché non hanno subito effetti negativi rilevanti. Le statiche in crisi (12%) quelle cioè che stanno subendo pesantemente l’impatto dell’emergenza sanitaria ma non hanno adottato strategie di reazione ben definite. Le proattive in sofferenza (8,5%), duramente colpite dalla crisi ma che hanno intrapreso strategie strutturate di reazione. Le proattive in espansione (33,2%), imprese che sono sì state colpite lievemente ma non hanno alterato il proprio sentiero di sviluppo precedente.
Infine le proattive avanzate (23%), colpite in maniera variabile dalle conseguenze della crisi, nel corso del 2020 hanno aumentato gli investimenti rispetto all’anno precedente. Ma analizziamo la situazione da un altro punto di vista: il 42% delle imprese si trova in una situazione di sofferenza o addirittura in crisi, con un forte impatto dell’emergenza sanitaria sulla capacità produttiva e commerciale, a prescindere dall’aver attuato strategie di reazione; le resilienti statiche (31%), che hanno resistito senza adottare particolari strategie ma senza neanche subire effetti negativi rilevanti; quelle in espansione o avanzate (26%) che, pur colpite in maniera variabile dalle conseguenze della crisi, non hanno diminuito l’indice di sviluppo e in alcuni casi hanno addirittura incrementato lo sviluppo degli investimenti rispetto all’anno precedente. Queste ultime assorbono il 46% della forza lavoro w producono il 56% di valore aggiunto totale.
I dati confermano che la forza lavoro e lo stato di salute sono direttamente proporzionali alla dimensione d’impre Una situazione così complicata, differenziata e composita conferma l’esigenza già avvertita di adottare interventi selettivi e mirati, sia nelle misure di sostegno alle imprese, sia per i programmi di ripresa volti al consolidamento dei settori strategici per la diffusione di investimenti e comportamenti operativi reattivi, come richiesto dalle nuove sfide.