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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Economia

Il salva-banche si traduce in affossa-famiglie: tutti i motivi per indignarsi e reagire

I risparmi di una vita, investiti, spariti in una notte per migliaia di umbri. Dobbiamo metterci nei loro panni anche perchè questa storia ci riguarda tutti che viviamo in un Paese furbetto, con istituzioni che vigilano e governi che preferiscono salvare le banche e non le famiglie...

Zero. Un numero che già di per sé spaventa, perché rappresenta il nulla, l’assenza di  qualunque cosa. Se poi quel qualcosa si chiama “denaro”, allora la paura si tramuta inevitabilmente in disperazione. È difficile mettersi nei panni delle migliaia di persone che in questi giorni stanno vivendo il dramma di vedere il valore delle obbligazioni e delle azioni sottoscritte con Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e Carife ridotte proprio a questo tremendo numero. Zero.

Il decreto “salva banche” varato dal governo Renzi per evitare il fallimento dei quattro istituti di credito è stata una mazzata per tantissimi umbri. I gualdesi, i perugini, gli assisani, i castellani si sono fidati, soprattutto di Banca Etruria, che da molti anni offre i propri servizi a questi cittadini nelle varie realtà regionali. 
O così o il disastro totale: questa è la risposta del governo , che ha applicato la nuova direttiva dell’Unione Europea, il cosiddetto bail-in, coprire le perdite con i capitali degli azionisti e degli obbligazionisti. Senza questa operazione il cataclisma avrebbe coinvolto anche i correntisti. 

Se ne stanno sentendo tante in questi giorni di dichiarazioni, spesso di gente normale che biasima le famiglie finite nella bufera: “Investimenti folli, il rischio era alto e loro hanno scelto di rischiare. Gli è andata male”, tanto per fare un esempio. Dal di fuori è sempre tutto facile, ma chi è entrato nelle filiali di quelle banche lo ha fatto credendo di mettere i propri soldi in un posto sicuro, ha investito perché erano arrivate le rassicurazioni di chi lì ci lavorava, magari di vicini di casa conosciuti da una vita.  

Non tutti sono laureati in economia, non tutti hanno alle spalle le conoscenze sufficienti per capire che le obbligazioni subordinate, se si chiamano così è perché sono le ultime ad essere rimborsate, e la perdita in caso di fallimento della società è, quasi sempre, del 100% del capitale investito. A volte i documenti che si ricevono non sono semplicissimi da comprendere e se chi ti li dovrebbe far “digerire” sono dipendenti costretti dai propri superiori a dire il falso, la colpa non è tanto da cercare in chi ora è disperato, quanto in chi ha distorto la realtà. 

Già, le colpe. In Italia stabilire le responsabilità di un patatrac è sempre maledettamente complicato: secondo il rapporto del Consiglio d’Europa del 2014, nel nostro Paese le persone finite in galera per reati di tipo finanziario ed economico sono appena lo 0,6% della popolazione carceraria. Un’inezia. Ma chi truffa, chi porta alla disperazione migliaia di persone che da un giorno all’altro si sono ritrovate senza niente in mano, è davvero meno pericoloso di chi compie una rapina, di chi spaccia droga o scippa un’anziana per la strada? Bernie Madoff, l’autore di una delle più grandi truffe finanziarie negli Stati Uniti, nel 2009 è stato condannato a 150 anni di carcere, perché raggirare delle persone e far perdere loro i risparmi di una vita è molto più che rubare. 

Ovviamente il paragone tra il caso del broker americano e quello delle quattro banche italiane non regge, sono due situazioni completamente diverse, due manipolazioni che non hanno nulla in comune. O meglio, qualcosa ce l’hanno: la gente che si è fidata ed è rimasta fregata. Nessuno si attende che i signori a capo dei quattro istituti bancari finiscano dietro le sbarre per il resto della loro vita, lungi da noi l’idea di chiederlo, ma che qualcuno dalle parti di Roma si smuova per cercare di individuare come e perché sia stato possibile una cosa del genere, ed evitare che questi stessi signori possano proseguire a far danni, forse questo sì, ce lo auguriamo un po’ tutti. 

La Cgil e Federconsumatori stanno lottando affinché il governo ritiri il decreto, ma è sempre più evidente che tra condannare a morte i quattro istituti (e relativi correntisti) e lasciare al proprio destino i piccoli investitori, la scelta non possa che ricadere sulla seconda opzione. 

Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan nei giorni scorsi ha lasciato intendere che potrebbe essere creato un fondo “salva-investitori” da inserire nella manovra finanziaria: 120 milioni di euro, 80 dei quali a carico del sistema bancario e i restanti 40 attraverso uno stanziamento di fondi ministeriali (leggasi soldi pubblici). Il PD ha proposto un emendamento che prevede l’utilizzo degli eventuali utili creati dalle nuove quattro realtà bancarie nate con il decreto per risarcire i piccoli azionisti. Lo stesso governo ha fatto sapere che i primi ad essere rimborsati saranno i piccolissimi obbligazionisti, cioè la gente comune, quella che si è recata in banca con la speranza di far fruttare il gruzzoletto messo da parte dopo tanti anni di lavoro. La soglia di distinzione tra chi verrà risarcito sarà (pare) 30mila euro: chi ha investito meno di quella cifra verrà tutelato, per tutti gli altri un bel “Grazie e arrivederci”. 

Si sa, il rischio di diventare populisti in momenti come questi è molto alto e non servirebbe a niente, ma lo sconforto dei molti umbri coinvolti nella vicenda è tanto e la sensazione che nessuno verrà ritenuto colpevole di quanto sta accadendo serpeggia nell’aria. Nessuno ha vigilato, neanche la Banca d’Italia e la Consob, nessuno che abbia paventato quantomeno il rischio di una situazione simile. Ora non resta che attendere e sperare che quello “zero” possa trasformarsi, in qualche modo, in un risarcimento. Resta però la consapevolezza che il danno, l’ennesimo, è stato ormai fatto: la credibilità delle istituzioni, delle banche e di chi le guida ha subito un altro colpo mortale e continuare a credere negli “esperti” rischia di diventare sempre di più un atto di fede da pagare a caro prezzo. 

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