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Saperi&Sapori - La ricetta di chef Radicchia e Stefanelli: Polenta di farro con lumache vignaiole e cipolla caramellata

  • Categoria

    Primo
  • Difficoltà

    Facile
  • Tempo

    45 minuti

Per quattro persone:
- 500 grammi di semola o polenta di farro;
- 40 chiocciole vignaiole sgusciate e spurgate;
- 5 bacche di ginepro;
- mazzetto di erbe aromatiche, composto da timo, rosmarino e alloro);
- 2 cipolle dorate di Cannara;
- olio extra vergine di oliva, sale e pepe q.b.;
- 1 cucchiaio di Garum o colatura di alici;
- alcune foglioline di ruta;
- 1 albume d’uovo;
- 1 speccia d’aglio;
- 1 mazzetto di cicoria;
- 1 cucchiaio da minestra di miele di castagno;
- 1 bicchiere di vino bianco;
- 1,2 litri d’acqua fredda.

Procedimento

Versare l’acqua in una pentola, portandola ad ebollizione e salandola al gusto delle proprie papille gustative. Quando l’acqua bolle aggiungere la semola o polenta di farro. Mescolare continuamente con una frusta od un mestolo di legno, fino a che non si raggiunga una consistenza soddisfacente. Nel mentre, in una padella mettere l’olio extra vergine di oliva, il mazzetto aromatico, il ginepro, l’aglio, una cipolla tritata molto finemente (quasi invisibile al tatto) e la cicoria tagliata irregolarmente. 

Far brunire leggermente il tutto e aggiungere un piccolo mestolo di acqua ghiacciata. Aggiungere le lumache e far rosolare ravvivando gli elementi nella padella, quindi incorporare il miele di castagno ed il Garum, raggiungendo una consistenza cremosa col resto degli ingredienti. A fuoco spento integrare l’albume e mescolare con velocità.

In una seconda padella, fare una julienne della cipolla rimasta e aggiungere il miele di castagno a propria discrezione, il pepe e caramellizzare il tutto. Impiattare ponendo la polenta alla base, il contenuto della prima padella con le lumache sopra e completare con la cipolla caramellata e le foglioline di ruta. Spolverare con pepe e un filo d’olio extravergine di oliva. Gustare questo piatto alla maniera dei nostri illustri antenati.

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La ricetta

La ricetta proposta ai lettori di Perugiatoday dallo chef Michele Radicchia e Alessio Stefanelli del ristorante perugino Cammino Garibaldi che il prossimo 8 marzo compierà due anni di attività nel cuore del centro storico. Terza puntata della rubrica Saperi&Sapori - con cadenza settimanale, tutti i mercoledì -. Andiamo dunque a conoscere segreti, ingredienti, curiosità, storia dei prodotti e delle nostre tradizioni... tutto questo su un piatto speciale: Polenta di farro con lumache vignaiole e cipolla caramellata.

Tradizione e storia

Quando la lumaca è provvista di guscio (viene usata in cucina perché edibile) si chiama chiocciola, altrimenti semplicemente lumaca (non solitamente impiegata nelle ricette). Sin dall’età della pietra è uno degli alimenti più usati dai nostri antenati. I greci ed i romani reputavano le lumache un alimento prelibato, tanto da strutturare un’apposita forchetta. Era di moda servire le lumache nei banchetti dell’età imperiale condite col Garum, spurgandole prima con lauro e crusca. Si narra una leggenda per cui un soldato romano, durante l’assedio di Cartagine, inseguendo alcune chiocciole di cui era ghiotto, scoprì il passaggio segreto nelle mura della città africana che portò i romani al successo.

foto x polenta e lumache-2Nel 1500 diventano un cibo povero e popolare ed erano chiamate carne di magro: con queste caratteristiche arrivano fino alla cucina del 1800, quando durante un a gravissima carestia in suolo francese riconquistarono un posto d’onore nell’alta cucina. Addirittura, il ministro francese Tayllerand nel XVIII secolo allestì un banchetto per lo zar di Russia Alessandro I, principalmente a base di chiocciole.

Le più prelibate vengono raccolte nei sentieri di campagna. Gli italiani consumano le chiocciole corridore in piena attività durante la primavera e l’autunno e sono sottoposte ad una più lenta spurgatura perché le loro carni saprebbero di aromi di erbe cattive. La polenta è un piatto della tradizione popolare che viene preparato usando diverse farine: in questo caso, di farro. Prima dell’importazione dalle Americhe del grano duro, il farro era l’elemento essenziale nell’alimentazione delle popolazioni arcaiche. Il triticum monococcum, ovvero il farro, proviene dalla Palestina, portato in Egitto dalle migrazioni di nomadi e diffusosi successivamente in tutto il Mediterraneo. 

In Italia comincia a circolare intorno al VII secolo a.C., grazie agli Etruschi ed ai Romani nelle regioni della Tuscia e del Lazio. Addirittura gli schiavi e i prigionieri avevano diritto ad una libbra (circa 300 grammi) di farro al giorno e i legionari di Giulio Cesare intraprendevano le spedizioni militari con un pugno di farro nella bisaccia. L’aristocrazia romana celebrava una cerimonia matrimoniale chiamata sacrificio di Giove in cui veniva donata una focaccia di farrum agli sposi, da spezzare e consumare insieme: questa tradizione affonda le proprie radici nell’Italia centrale.

La cicoria, chiamata anche radicchio selvatico o volgarmente bruttona, era considerata dai latini Plinio e da Galeno amica delfoto ingredienti polenta e lumache-2 fegato e un prezioso rinfrescante. Nelle credenze popolari europee la cicoria era trattata come pianta magica con cui si poteva raggiungere il piacere sessuale, spezzare incantesimi e diventare invisibili e vulnerabili. Dal 1600 la cicoria viene impiegata come surrogato del caffè: curioso episodio a questo riguardo legato a Napoleone è quello dell’embargo del 1806 che vietando l’importazione in Europa di prodotti provenienti dall’Inghilterra e dalle sue colonie, contribuì a diffondere l’uso del caffè a base di cicoria. La cicoria è anche chiamata orologio dei pastori, perché quando i suoi fiori si chiudono vengono munte le mucche al pascolo.

Erbolario e credenze magiche

Timo. Dal greco thumon, simile a thumos, ossia soffio vitale, nasce dalle lacrime di Arianna abbandonata dall’amato Teseo. In passato si credeva che le anime dei morti riposassero tra i fiori del timo, tant’è che gli antichi greci li usavano per alimentare la fiamma dei nephalia, i sacrifici. Nel medioevo, i contadini europei facevano benedire i rametti ti timo per allontanare le streghe e gli spiriti nefasti. Il timo evoca l’operosità e l’amore duraturo: è molto gradito alle fate e fa parte delle erbe di San Giovanni. Il timo è utile nella cura dell’asma, della tosse, delle bronchiti e delle infezioni delle vie urinarie.

Il ginepro. In passato si usava per scacciare le serpi e il suo distillato era impiegato per curarsi dai morsi delle vipere e di altri animali velenosi. In greco era chiamato anche arkéuthos, ovvero utile ad allontanare un pericolo. Nelle montagne del centro Italia, secondo le tradizioni pagane, si strofinavano le fronde del ginepro per evitare che si intrufolassero malattie e sventure: il Cristianesimo adatta tale credenza legandola all’utilizzo del ginepro per aprire le vie della salvezza ai Cristiani in fuga dall’Egitto durante le persecuzioni di Erode. Essendo un sempreverde, il ginepro veniva largamente usato nei riti per la fertilità. Promosso a panacea universale, il bagno di ginepro libera le persone dall’accidia, dai dolori reumatici, dalla depressione e ridà forza alle persone sofferenti di esaurimento.

Rosmarino. Il nome latino è rosmarinus e nella tradizione poetica è chiamato rugiada o rosa del mare, per via del colore del fiore. Il rosmarino è la pianta sacra dell’immortalità e gli antichi egizi usavano metterne un rametto tra le mani del defunto per aiutarlo nel proprio viaggio nell’aldilà. Consacrato dai romani al dio della guerra Marte, i rami del rosmarino erano portati in processione durante i funerali dei guerrieri e piantato sulle loro tombe. Le virtù magiche di questo arbusto sono legate anche all’amore: si impiegava nella
creazione di filtri per esaltare il cuore della persona amata. Carlo Magno faceva coltivare la pianta negli orti delle sue residenze a fini curativi contro la gotta che lo affliggeva. Potente antisettico, si usava per fumigare le stanze degli ammalati di peste. Ancora oggi il suo olio essenziale viene usato per l’effetto rilassante e per allontanare la malinconia.

TUTTE LE RICETTE DELLE PUNTATE PRECEDENTI

1) Saperi&Sapori - La ricetta di chef Radicchia e Stefanelli: Zuppa di Roveja con il maiale al Garum

2) Saperi&Sapori - La ricetta di chef Radicchia e Stefanelli: Piccione al fuoco con paté di fegatelli

La ricetta proposta ai lettori di Perugiatoday dallo chef Michele Radicchia e Alessio Stefanelli del ristorante perugino Cammino Garibaldi che il prossimo 8 marzo compierà due anni di attività nel cuore del centro storico. Terza puntata della rubrica Saperi&Sapori - con cadenza settimanale, tutti i mercoledì -. Andiamo dunque a conoscere segreti, ingredienti, curiosità, storia dei prodotti e delle nostre tradizioni... tutto questo su un piatto speciale: Polenta di farro con lumache vignaiole e cipolla caramellata.

Tradizione e storia

Quando la lumaca è provvista di guscio (viene usata in cucina perché edibile) si chiama chiocciola, altrimenti semplicemente lumaca (non solitamente impiegata nelle ricette). Sin dall’età della pietra è uno degli alimenti più usati dai nostri antenati. I greci ed i romani reputavano le lumache un alimento prelibato, tanto da strutturare un’apposita forchetta. Era di moda servire le lumache nei banchetti dell’età imperiale condite col Garum, spurgandole prima con lauro e crusca. Si narra una leggenda per cui un soldato romano, durante l’assedio di Cartagine, inseguendo alcune chiocciole di cui era ghiotto, scoprì il passaggio segreto nelle mura della città africana che portò i romani al successo.

foto x polenta e lumache-2Nel 1500 diventano un cibo povero e popolare ed erano chiamate carne di magro: con queste caratteristiche arrivano fino alla cucina del 1800, quando durante un a gravissima carestia in suolo francese riconquistarono un posto d’onore nell’alta cucina. Addirittura, il ministro francese Tayllerand nel XVIII secolo allestì un banchetto per lo zar di Russia Alessandro I, principalmente a base di chiocciole.

Le più prelibate vengono raccolte nei sentieri di campagna. Gli italiani consumano le chiocciole corridore in piena attività durante la primavera e l’autunno e sono sottoposte ad una più lenta spurgatura perché le loro carni saprebbero di aromi di erbe cattive. La polenta è un piatto della tradizione popolare che viene preparato usando diverse farine: in questo caso, di farro. Prima dell’importazione dalle Americhe del grano duro, il farro era l’elemento essenziale nell’alimentazione delle popolazioni arcaiche. Il triticum monococcum, ovvero il farro, proviene dalla Palestina, portato in Egitto dalle migrazioni di nomadi e diffusosi successivamente in tutto il Mediterraneo. 

In Italia comincia a circolare intorno al VII secolo a.C., grazie agli Etruschi ed ai Romani nelle regioni della Tuscia e del Lazio. Addirittura gli schiavi e i prigionieri avevano diritto ad una libbra (circa 300 grammi) di farro al giorno e i legionari di Giulio Cesare intraprendevano le spedizioni militari con un pugno di farro nella bisaccia. L’aristocrazia romana celebrava una cerimonia matrimoniale chiamata sacrificio di Giove in cui veniva donata una focaccia di farrum agli sposi, da spezzare e consumare insieme: questa tradizione affonda le proprie radici nell’Italia centrale.

La cicoria, chiamata anche radicchio selvatico o volgarmente bruttona, era considerata dai latini Plinio e da Galeno amica delfoto ingredienti polenta e lumache-2 fegato e un prezioso rinfrescante. Nelle credenze popolari europee la cicoria era trattata come pianta magica con cui si poteva raggiungere il piacere sessuale, spezzare incantesimi e diventare invisibili e vulnerabili. Dal 1600 la cicoria viene impiegata come surrogato del caffè: curioso episodio a questo riguardo legato a Napoleone è quello dell’embargo del 1806 che vietando l’importazione in Europa di prodotti provenienti dall’Inghilterra e dalle sue colonie, contribuì a diffondere l’uso del caffè a base di cicoria. La cicoria è anche chiamata orologio dei pastori, perché quando i suoi fiori si chiudono vengono munte le mucche al pascolo.

Erbolario e credenze magiche

Timo. Dal greco thumon, simile a thumos, ossia soffio vitale, nasce dalle lacrime di Arianna abbandonata dall’amato Teseo. In passato si credeva che le anime dei morti riposassero tra i fiori del timo, tant’è che gli antichi greci li usavano per alimentare la fiamma dei nephalia, i sacrifici. Nel medioevo, i contadini europei facevano benedire i rametti ti timo per allontanare le streghe e gli spiriti nefasti. Il timo evoca l’operosità e l’amore duraturo: è molto gradito alle fate e fa parte delle erbe di San Giovanni. Il timo è utile nella cura dell’asma, della tosse, delle bronchiti e delle infezioni delle vie urinarie.

Il ginepro. In passato si usava per scacciare le serpi e il suo distillato era impiegato per curarsi dai morsi delle vipere e di altri animali velenosi. In greco era chiamato anche arkéuthos, ovvero utile ad allontanare un pericolo. Nelle montagne del centro Italia, secondo le tradizioni pagane, si strofinavano le fronde del ginepro per evitare che si intrufolassero malattie e sventure: il Cristianesimo adatta tale credenza legandola all’utilizzo del ginepro per aprire le vie della salvezza ai Cristiani in fuga dall’Egitto durante le persecuzioni di Erode. Essendo un sempreverde, il ginepro veniva largamente usato nei riti per la fertilità. Promosso a panacea universale, il bagno di ginepro libera le persone dall’accidia, dai dolori reumatici, dalla depressione e ridà forza alle persone sofferenti di esaurimento.

Rosmarino. Il nome latino è rosmarinus e nella tradizione poetica è chiamato rugiada o rosa del mare, per via del colore del fiore. Il rosmarino è la pianta sacra dell’immortalità e gli antichi egizi usavano metterne un rametto tra le mani del defunto per aiutarlo nel proprio viaggio nell’aldilà. Consacrato dai romani al dio della guerra Marte, i rami del rosmarino erano portati in processione durante i funerali dei guerrieri e piantato sulle loro tombe. Le virtù magiche di questo arbusto sono legate anche all’amore: si impiegava nella
creazione di filtri per esaltare il cuore della persona amata. Carlo Magno faceva coltivare la pianta negli orti delle sue residenze a fini curativi contro la gotta che lo affliggeva. Potente antisettico, si usava per fumigare le stanze degli ammalati di peste. Ancora oggi il suo olio essenziale viene usato per l’effetto rilassante e per allontanare la malinconia.

TUTTE LE RICETTE DELLE PUNTATE PRECEDENTI

1) Saperi&Sapori - La ricetta di chef Radicchia e Stefanelli: Zuppa di Roveja con il maiale al Garum

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