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Cronaca

Violenza sessuale su una paziente, ginecologo condannato in appello

Le motivazioni della Corte d'appello di Perugia: le prove confermano che la donna non voleva

“La consumazione del delitto di violenza sessuale può essere provata dalla presenza di elementi convergenti dimostrativi dell’insussistenza dell’assenso al rapporto da parte della persona offesa”. Con queste motivazioni la Corte d’appello di Perugia ha riformato la condanna per un ginecologo accusato di violenza sessuale nei confronti di una paziente.

Per i giudici della Corte può dirsi provato “il dissenso al rapporto consumato da un ginecologo nel corso di una visita a una sua paziente, alla luce di elementi gravi e concordanti”.

Dalle prove risulta “accertata la presenza sugli indumenti della persona offesa di tracce biologiche dell’agente. In particolare, sia sul lato anteriore, sia sul lato posteriore della maglietta indossata dalla vittima erano state rinvenute tracce spermatiche”.

Tracce che, secondo quanto emerso da una perizia, “non derivavano direttamente dall’eiaculazione dell’agente, bensì erano state da lui lì trasferite con le proprie mani”.

Per i giudici di appello questo proverebbe “un rapporto convulso e non lineare, caratterizzante proprio uno stato di dissenso della donna alla consumazione di un rapporto sessuale consenziente”.

Il rifiuto al rapporto sessuale da parte della donna è provato anche dai “messaggi di insulti inviati dalla paziente al medico subito dopo il fatto”, mentre non sono rilevanti “gli scambi epistolari avvenuti prima della visita tra agente e persona offesa – scrivono i giudici - Invero, i messaggi, seppur indicativi dell’esistenza di un rapporto confidenziale tra loro, non potevano essere egualmente considerati quale prova dell’assenso a un rapporto sessuale; in specie alla luce del fatto che i diversi elementi probatori emersi nell’istruttoria inducevano a ritenere il contrario”.

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