"Io 45enne, giornalista con qualche dubbio, vi racconto la mia prima volta con il vaccino Moderna. Ecco come è andata (e cosa ho visto)"
"Anche io come alcuni di voi ho avuto perplessità, paure e sollevato critiche. Ma alla fine ho deciso di affidarmi alla scienza. E ad oggi sono convinto di aver fatto, a mio giudizio, la scelta giusta"
Ho 45 anni ed ho effettuato il vaccino, la prima dose, soltanto ora - 5 agosto - nonostante moltissimi della mia fascia di età abbiano già chiuso l'intero ciclo con la doppia somministrazione. Anche io come alcuni di voi ho avuto dubbi, paure e sollevato critiche. Non sto qui ad elencarle perché sarebbe noioso. Ma alla fine ho deciso di affidarmi alla scienza. E ad oggi sono convinto di aver fatto, a mio giudizio, la scelta giusta. Da profondo liberale, però, voglio ribadire che obbligare il cittadino ad una pratica medica non è una procedura politica che, alla toscana, "mi garba". Sta al libero giudizio di ognuno di noi, anche se in questo caso c'è in ballo tanto, tantissimo del nostro futuro prossimo. Altra convinzione: il green pass è importante, ma forse bisognava introdurlo a metà settembre, e non ora, perché le dosi sono poche e perché così facendo si alimenta uno scontro ideologico che non fa cambiare idea ai contrari e non aiuta gli indecisi a prendere una decisione. Dopo aver scritto tanto degli altri, dei vaccini, delle proteste e di chi è convinto che sia la madre di tutte le battaglie anti-Covid, ho voluto trasformare la mia prima volta - o sarebbe meglio dire la prima dose - in un racconto completo. Non ideologico, ma all'insegna della cronaca e di quello che ho visto, sentito e provato. Buona lettura.
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Il primo agosto, mi trovavo al pc, quando è arrivato un messaggio: "il 5 agosto alle 10.30 in piazza Federico II di Svevia a Gualdo Tadino presentarsi per vaccino Moderna. Presentarsi puntuale". Poco dopo ne arriva un secondo sui moduli da scaricare e compilare. E infine un terzo: il 2 settembre, stesso posto e orario, presentarsi per la seconda dose. Moltissime persone che conoscono lo hanno fatto, altre - una minoranza - mi ha detto che non ci pensano proprio ad utilizzare un vaccino sperimentale. Io ovviamente ho già deciso. Non l'ho fatto per il green pass - obbligatorio dal 6 agosto - anche se non averlo avrebbe di molto frenato la mia vita sociale e i miei interessi. Ho deciso, non senza domande che sono rimaste senza risposta, di ricevere il vaccino perché voglio provare ad evitare di ammalarmi - di evitare in caso di contagio gli effetti nefasti, sono un fumatore e so quanto male ho fatto al mio apparato respiratorio - e spero, affidandomi alla scienza, di contribuire non dico alla sconfitta del virus, ma almeno a confinarlo in una sorta di accettabile - a livello medico e sociale - forma influenzale seppur più aggressiva. Insomma ho deciso di essere una pecora di un grande gregge in nome e nella speranza dell'immunità di gregge. So che non basterà: servono le cure monoclonali, l'aumento della medicina territoriale per curare le persone a casa, politiche vere ad iniziare dal potenziamente dei mezzi pubblici e ad investimenti maggiori in sanità, dopo decenni di tagli scellerati. Ma io questo posso fare, oltre che utilizzare il buonsenso nelle situazioni potenzialmente a rischio. Mi duole però un aspetto: che mentre noi obbediamo alla scienza ufficiale per tornare ad essere uomini liberi, multinazionali del farmaco fanno soldi a palate e addirittura invece di fornire a prezzo di costo i vaccini stanno aumentando i prezzi.
Arriva il 5 agosto, mi faccio venire a prendere a casa dalla mia genitrice ancora arzilla, perché temo qualche potenziale malessere post-somministrazione, e approdo al centro vaccinale che di norma è una sorta di Cva dove si organizzano serate danzanti e feste soprattutto per i cosiddetti uomini e donne della Terza Età. All'esterno, alle ore 10.30, ci sono già una trentina di persone,tutte riparate dal sole da una struttura consona. Non si tratta di un assembramento, ma neanche di un meraviglioso esempio di distanziamento. Ma tutti indossano la mascherina. Scopro - non c'era scritto in nessun modulo - dopo una ventina di minuti che non verrò chiamato per nome ma devo, nonostante la prenotazione e la convocazione ad un orario preciso, entrare nella prima sala per richiedere il numeretto e verificare il modulo che ho compilato su malattie, allergie, patologie varie. Per colpa della mia ignoranza devo rimettermi in fila. Alla fine sarò il numero 65. Sono le 11 quando prendo numero e verifico la modulistica. Al bancone c'è una efficiente operatrice, a destra c'è una saletta con un medico e nella sala principale - quella da ballo - ci sono due box per fare la vaccinazione - uno per il Moderna e l'altro per il Pfzier - Vedo tutto questo ed esco in attesa di essere chiamato.
Nell'attesa rileggo i fogli della regione che ho firmato frettolosamente: ci sono gli effetti collaterali, quelli comuni e quelli più rari. C'è anche scritto che tutto questo mi è stato spiegato in una lingua che comprendo e che ho accettato tutto, proprio tutto. In verità nessuno prima della firma mi ha spiegato nulla. Compresa la difficile composizione del vaccino Moderna che, ai miei occhi, appare come una formula magica essendo totalmente ignorante. Sorrido. Di un centinaio di persone presenti, a quell'ora, ci sono solo due ragazzi under 19 - di 17 anni e di 13 anni - il resto sono tutti sopra gli over 30. Ascolto molte mamme convinte della bontà del vaccino, ma o con forti dubbi nell'autorizzare anche i figli minorenni o completamente contrarie alla somministrazione. Sono la stragrande maggioranza. Ognuna ha le sue ragioni. D'altronde anche in diversi Paesi Europei, tra cui la Germania, si consiglia il vaccino agli under 18 solo se con patologie o considerati fragili. In Umbria e in Italia, anche in vista della riapertura della scuola, si consiglia vivamente alla famiglie di effettuare la copertura anche agli under 18. Ammetto che l'attesa fa salire la tensione. Non amo gli aghi. La fila defluisce ordinata, ma non in maniera veloce. Non ci sono lamentele o minacce di chiamare le forze dell'ordine. Alle 11.30, dopo un'ora dal mio arrivo, chiamata ufficiale: per il numero 64 - la mia amica Simona, anche lei quarantenne e alla prima dose, per me (65) e per un ragazzino di 17 anni (66) che per legge deve essere accompagnato dall'esuberante padre che si mette persino ad aiutare il personale del centro vaccinale per gli ingressi.
Da fuori sono entrato dentro la prima sala di attesa. Poi passo alla stanzetta del medico: mi spiega in maniera completa cosa è il Moderna, gli obiettivi del vaccino e anche i rischi. Dopo passa ad esaminare - in seconda lettura - le mie eventuali patologie e se ho mai contratto il virus. Grazie a Dio posso enunciare una serie di "no". Mi chiede se ho domande da fare? Sì. "In caso di malore cosa devo fare e cosa devo assumere?" "Ai primi sintomi prenda la tachipirina mille e se la situazione si fa più seria contatti subito il medico di famiglia. Potrebbe avere dolore al braccio, prurito o un arrossamento. Capita uno su 100". Mi ritengo soddisfatto, e poi c'è la fila fuori, meglio evitare altre domande e accedere al passaggio successivo, quello fondamentale. Passo nella terza stanza: sedie distanziate, sala divisa in due - quelli in attesa e quelli che devono poi aspettare 15 minuti post-vaccino per poi ripartire - il tutto molto comodo, compresa la macchinetta automatica per il caffè che non esito a mettere in moto. Dopo 3 minuti vengo chiamato: Moderna o Pfizer?
Rispondo: Moderna. "Allora aspetti un attimo, avanti quelli per il Pfizer". Tocca al 17enne. Sono solo due, per tutto il tempo che sono al centro, gli under 18. Subito dopo nel box, "b", arriva la mia chiamata ufficiale. Una infermiera carina ed educata mi fa sedere, mi chiede le generalità, sorride e sorrido anche io. Insomma mi ha messo a mio agio. Odio gli aghi. Ma stavolta neanche me ne accorgo sia fisicamente sia visivamente. Ovatta sulla ferite, un po' di nastro. Un saluto simpatico e via sono vaccinato con la prima dose di moderna. Ma non è finita qui: accedo alla sala finale di questo viaggio - comune a miliardi di persona - che passerà alla storia. Seduto, con distanziamento, nella sala di compressione per 15 minuti nella speranza di scongiurare i sintomi quelli più gravi, quelli che il medico ha definito rari. Vicino a me c'è Simona, per fortuna.
Perché? La testa e il cuore temono quei sintomi rari e quindi bisogna esorcizzarli in qualche modo. E insieme, io e Simona, ci riusciamo sorridendo. Merito suo. "Un mio caro amico - mi dice sorridendo - dopo il vaccino mi ha detto che, non sa per quale motivo, tutti i giorni si ritrova a canticchiare le canzoni di Califano, e non gli piaceva neanche come cantante". Sorrido pensando al Califfo e alle sue grandi canzoni. Si continua a parlare. Nessuno sta male. Nessuno deve intervenire.
Scatta mezzogiorno e si può tornare a casa anche perchè la mia genitrice ancora arzilla - da fan della lotta acritica al Covid - ha già acquistato la tachipirina 1000, il Moment... manca solo una immagine dell'Arcangelo Michele armato di spada... e c'è tutto per affrontare il pomeriggio e la mattina dopo post-covid. Nella speranza che vada tutto bene e quindi senza un ulteriore articolo sui postumi della mia prima volta con il Moderna.
Per il momento non so se ho contribuito a vincere la lotta all'infido virus, ma di sicuro ho vinto il green pass valido dal 6 agosto. Non è una medaglia. E' un lasciapassare si spera utile contro la pandemia, che esibirò solo su richiesta e non lo sventolerò come una bandiera di civiltà. Questa è la mia piccola storia, la storia di un 45enne convinto della bontà della vaccinazione ma con forti, fortissimi dubbi - da liberale - sul green pass che alla fine ho accettato.