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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Città di Castello

Una “pedalata” lunga un mese in sella ad una bici nera per fuggire dall’olocausto, dagli orrori dei lager e della guerra

La storia “simbolo” di Carlo Rossi e della medaglia d’Onore alla Memoria consegnata oggi in Prefettura al figlio Paolo.

Una pedalata lunga un mese verso la libertà ed il ritorno a casa. In fuga dall’olocausto, dagli orrori della deportazione e sterminio in sella ad una vecchia bici nera. E’ la storia drammatica, a dir poco rocambolesca, di Carlo Rossi (nato a Città di Castello il 29 aprile 1916), figlio di contadini che nel maggio del ’44 fu deportato dai nazisti prima in Polonia poi in Olanda ed in Germania (ad Amburgo).

La storia di Carlo Rossi è racchiusa in diverse memorie scritte ovunque: in fogli di fortuna, scatole di medicinali, pacchetti di sigarette. Documenti che il figlio Paolo e la nipote Rosita, custodiscono nella propria abitazione di Userna, all’immediata periferia di Città di Castello dove il padre-nonno è vissuto in serenità accanto alla sua amata bicicletta, nera con alcuni ritocchi di colore rosso, tuttora in piena efficienza, fino al 2002 quando è scomparso all’età di 86 anni.

“Il 24 maggio del 1944 mio padre – precisa il figlio Paolo – mentre si recava a Umbertide per ottenere l’esonero di chiamata alle armi, essendo il secondo figlio di un contadino, nel percorso fu vittima di rastrellamento da parte dei militari tedeschi. Venne catturato e fatto salire su un camion dell’esercito tedesco assieme ad altre 50 persone. Li portarono prima a Perugia poi a Firenze: vennero poi caricati in un treno diretto a Verona  costretti a viaggiare come “acciughe” (testuali parole tratte dal suo diario). La tappa successiva fu Bolzano e di seguito l’ Austria finché a giugno 1944 arrivarono ad Amburgo. Dopo la schedatura e la vestizione vennero immediatamente trasferiti a Varsavia dove furono costretti a duri lavori. Nel freddo inverno con pochi vestiti  dormivano fra la paglia e naturalmente senza viveri.

''Successivamente – racconta ancora il figlio Paolo - con l’avanzare del fronte russo, sotto colpi di cannone e mitraglie furono condotti in treno a Stettino (Polonia) e lì rimasero fino a ottobre dello stesso anno, sempre patendo il freddo e la fame, costruendo giorno e notte trincee e ferrovie. Con l’avanzare delle truppe sovietiche, nel gennaio del 1945, i tedeschi li portarono a Rotterdam dove dovettero liberare le fabbriche dai loro armamenti militari. A fine aprile, mentre la guerra volgeva al termine nel resto d’Europa, i prigionieri, ignari di quello che stava succedendo, vennero trasferiti da alcuni comandi militari tedeschi fino in Danimarca viaggiando di giorno sui camion e di notte attraverso i boschi camminando in fila indiana. Carlo era riuscito persino a nascondere nello zaino i vestiti che indossava al momento della cattura conservandoli anche durante i trasferimenti. Quando la guerra stava per finire vennero riportati in un paese al confine con l’Olanda ed il maresciallo che li accompagnava ricevette l’ordine di liberare prima Inglesi e Americani ed infine gli italiani".

"Era il maggio 1945 e non sapendo che la guerra fosse finita – conclude il racconto rotto dall’emozione - si allontanarono ad uno ad uno di notte nei boschi scampando persino le raffiche di mitraglie. Il papà fece ritorno da Amsterdam ad agosto del 1945 tramite mezzi di fortuna, per piccoli tratti in treno, finché a Bolzano ebbe la fortuna di recuperare una bicicletta, che è ancora oggi funzionante e con la quale tutte le domeniche andò a messa negli anni a venire. Così, con i suoi miseri 45 chili di peso a fine Agosto 1945 tornò dalla sua famiglia”. La storia drammatica di Carlo, della fuga verso la libertà in sella alla bici nera che il destino gli ha fatto trovare nel posto giusto e al momento giusto è senza dubbio il simbolo della giornata che oggi si celebra in tutto il mondo ed in Umbria.

Questa mattina (giovedì 27 gennaio) al “salone Bruschi” della Prefettura di Perugia, il Prefetto Armando Gradone ha consegnato undici medaglie d’onore concesse dal Presidente della Repubblica a cittadini deportati ed internati nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale. Fra gli insigniti da questa alta onorificenza dunque anche il tifernate, Carlo Rossi, deportato dai nazisti nei campi di concentramento in Germania, scomparso nel 2002 all’età di 86 anni, la cui storia al pari di tante altre è particolarmente significativa e commovente. Il figlio, Paolo Rossi ha ritirato il premio in memoria del padre accompagnato dalla figlia Rosita e dall’assessore alla cultura del comune tifernate, Michela Botteghi.

“I suoi documenti, le sue testimonianze – conclude la nipote Rosita che assieme alla mamma Marinella le ha gelosamente custodite - saranno oggetto dei nostri racconti perché ora spetta a noi, a me in particolare, impegnarci a non dimenticare e a fare tesoro della loro integrità. La giornata di oggi è solo un piccolo gesto per rendere omaggio ad un uomo, come tanti, che ha pagato il prezzo della crudeltà altrui ma che non ha mai perso la speranza di vivere e la voglia di raccontare regalandoci emozioni”.

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