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Cronaca

INCHIESTA Umbria... non c'è più religione! Calo drammatico dei fedeli, sorpasso storico dei non praticanti

In linea anche rispetto alle altre regioni del centro Italia. Ecco le cause di un abbandono neanche frenato da Papa Francesco

Quella che una volta era terra di santi si sta trasformando in una landa di indifferentismo religioso. Un trend che si conferma anche a livello nazionale. La domanda sorge spontanea: la grande presenza di contesti religiosi è strettamente legata al calo di fedeli? Quali sono i segnali concreti della crisi religiosa nella società?

In Umbria continua il calo inesorabile dei praticanti assidui, cioè coloro che si recano nei luoghi di culto almeno una volta a settimana. Nel 2019 il 26,7% della popolazione si è dichiarato non praticante con un incremento di 11,1 punti percentuali durante i 18 anni analizzati. In pratica si dichiara praticante attivo soltanto un umbro su cinque, rispetto a quasi uno su tre del 2001. Da tenere presente che non è un fenomeno propriamente cattolico: l'indagine Istat pubblicata alla fine del 2019 evidenzia, infatti, che l'indifferentismo religioso è presente in tutte le confessioni riconosciute sul territorio nazionale: dalle ramificazioni della cristianità alla religione islamica.

Ma andiamo nel dettaglio: tra il 2001 e il 2019 il tasso di secolarizzazione e indifferentismo religioso, la percentuale cioè di coloro che appartengono alla fascia d’età con più di 6 anni e non frequentano mai un luogo di culto, è cresciuto dell’82,8% passando da 122 mila a 223 mila persone. Rispetto al solo 2018, l’aumento di non praticanti assidui si è attestato intorno alle 5 mila unità. Incremento certamente molto rilevante, quello umbro, ma non distante dal dato nazionale dove la percentuale dei non praticanti è cresciuta dell’81,4% nel 2019. In linea anche rispetto alle altre regioni del centro Italia: nello stesso anno in Toscana il 38,6% della popolazione ha dichiarato la propria indifferenza religiosa, nel Lazio il 29,5% e nelle Marche il 23,7%.

Dal 2001 l’Istat monitora il fenomeno della pratica religiosa in Italia. Dall’analisi di questi dati, il trend umbro è confermato. Nel periodo 2001-2018 la flessione dei praticanti assidui a livello nazionale è stata del 26,3% pari a -5,211 milioni di persone, anche se nel 2019 c’è stato un minimo incremento, pari a 90 mila unità in più (+0,6%). In altri termini coloro che dichiarano di non frequentare mai un luogo di culto sono l’81,4% pari quasi a 7 milioni di persone. Tra l’altro dal 2018, per la prima volta nella storia d’Italia, il numero di coloro che non frequentano mai un luogo di culto supera quello di chi lo frequenta almeno
una volta a settimana.

In Umbria il sorpasso è avvenuto addirittura un anno prima, nel 2017, e il divario si è allargato nel 2018 e nel 2019, con i mai praticanti saliti a 223mila contro i 168mila praticanti assidui. Per quanto riguarda l’intero periodo delle rilevazioni Istat sulla frequenza nei luoghi di culto, tutte le circoscrizioni e le regioni mostrano il segno negativo: la media nazionale si attesta intorno al 26,3%, con punte in Trentino Alto Adige (-41,0%), Veneto (-40,4%), Piemonte (-37%), e Liguria (-35%). I cali minori invece si sono verificati nel Lazio (-16,2%), Valle d’Aosta (-16,7%) e in Emilia Romagna (-17,3%)

C’è da considerare che i dati riportati riguardano tutte le religioni praticate in Italia, ma va da sé che nel nostro paese una grande fetta è coperta dalla religione cattolica. Anche se è difficile stabilire in che misura l’incremento dei praticanti assidui registrato nel 2019 a livello nazionale abbia inciso sulle altre religioni in conseguenza del fenomeno immigratorio da paesi di religione islamica o cristiana ortodossa. Ma quali sono i principali segnali di crisi della religione? “Sicuramente la crescente diffusione delle nuove religioni, in particolare quella New Age – spiega il sociologo Giovanni Pellegrini – ma anche il basso livello di ortoprassia e ortodossia e il grave analfabetismo religioso, senza contare il crescente successo della magia e astrologia nella società contemporanea”. 

La religione infatti è il tentativo dell’uomo di rispondere alle grandi domande metafisiche presenti nell’animo degli uomini fin dall’inizio dei tempi. Visto che tutte le religioni cercano di dare risposta a queste grandi domande, continuano ad avere una parte importante nell’esperienza umana, influenzando il modo di percepire la realtà e reagire ad essa. Una recente serie di studi, pubblicati sul Journal of Personality and Social Psychology, ha scoperto che la principale causa per l’abbandono della fede religiosa non è basata su giustificazioni razionali, ma è in prevalenza la ‘rabbia verso Dio’.

E’ un ateismo di tipo emozionale vissuto più sulla bocca che nel cuore. A prima vista può essere paradossale: come possono le persone essere arrabbiate con Dio, se non credono in Dio? In realtà la loro posizione, nella maggioranza dei casi, è dettata da un sentimento negativo, da una perdita di fiducia piuttosto che da una consapevolezza matura e razionale. La rabbia verso Dio nasce come conseguenza di situazioni spiacevoli che accadono nella vita o, nei casi estremi, da disastri naturali e malattie.

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