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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Liti continue in famiglia tra fratelli e cognati, via la licenza e i fucili da caccia

Ricorso contro la revoca delle armia, ma il giudice dà ragione alla Questura: hanno agito bene perché ci sono troppe tensioni familiari

Le continue liti con il fratello per questioni di confini gli costano la licenza di caccia.

L’uomo, guardia giurata in pensione, era andato a rinnovare il permesso di caccia, ma si è trovato di fronte al diniego della Questura e al divieto del Prefetto i detenere armi e munizioni in casa con la motivazione di non possedere più “i requisiti soggettivi richiesti per la detenzione delle armi in suo possesso né offre le dovute garanzie di non abusare delle stesse”.

Il motivo? Secondo Prefettura e Questura a causa del “persistente alto livello di conflittualità con il nucleo familiare del fratello ... entrambi residenti al medesimo stabile e numero civico, sfociato in reciproche denunce/querele, anche recentemente presentate”.

Il cacciatore replica che “non vi è alcuna condanna penale, egli non è soggetto a procedimenti penali in corso, non ha mai causato incidenti stradali, di attività venatoria o di altro tipo, risultando le querele che lo riguardano il frutto di litigi familiari definiti di poco conto” e “di aver sempre goduto della licenza per detenere armi e munizioni anche in considerazione del fatto che dal … ha svolto attività di guardia particolare giurata”. Non solo, “l'unico procedimento penale instaurato a carico del ricorrente si è concluso con decreto di archiviazione del … ed ha riguardato il reato di truffa e non anche tutti gli altri reati richiamati nell'informativa a danno del fratello e della ex cognata”.

I giudici amministrativi hanno ribadito quanto deciso in altri casi: “il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, piuttosto, un'eccezione al normale divieto di portare armi” e che “tale eccezione può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la completa e perfetta sicurezza circa il ‘buon uso’ delle armi stesse (necessariamente anche con l'impiego di un'estrema prudenza), in modo tale da evitare qualsiasi dubbio o perplessità sotto il profilo dell'ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività”.

Nel caso specifico, secondo i giudici del Tar, esiste una “situazione di alta conflittualità sussistente tra lo stesso ed il fratello … ed il suo nucleo familiare, sfociata in reciproche denunce/querele; tali circostanze sono state da ultimo confermate anche dalla denuncia dello stesso ricorrente presentata in data … nei confronti del fratello ... per lesioni personali, nonché dalle dichiarazioni rese ai Carabinieri della Stazione di ... da un vicino”.

Sulla base dell'ampia “discrezionalità che connota la valutazione della pubblica amministrazione circa il non affidamento del soggetto di abusare delle armi detenute” volta “a prevenire fatti lesivi della pubblica sicurezza”, se il detentore delle armi non è “persona esente da mende ed al di sopra di ogni sospetto o indizio negativo, e nei confronti del quale esista la completa sicurezza circa il buon uso delle armi”, l’autorità di pubblica sicurezza può e deve intervenire.

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