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Cronaca

Tradizioni perugine: la "Beffana", la filastrocca e l'antico rituale per gli innamorati

Viaggio alla scoperta di detti e antiche consuetudini della città sulla "Beffana"

La Beffana è, in perugino, la festa dell’Epifania. Il termine, riferito a una donna, ne mette in evidenza la bruttezza. Si sentiva dire, magari sottovoce: “Avó che Beffana” (“guarda che racchia!”, senso indicato anche con la parola “brucime”).

Noto il detto “La Piffanìa… tutte le feste porta via!”, ed è proprio così. Il giorno 7, nel magionese si celebra la festa degli Innocentini. Da qui il detto popolare “Pé j’innocentini, finite le feste… finiti i guadrini!”, nel senso che si è ormai dato fondo alle risorse.

Lasciando da parte il noto e lo scontato (la calza, la scopa, il camino…), vale la pena di ricordare una filastrocca perugina (interessante sul piano antropologico), legata a un modo di procedere tipico degli innamorati, per verificare se l’amato bene era davvero conquistato. La filastrocca recita “Pasquetta Pifanìa, ch’arivi ogni anno, / dimme la verità che te dimanno: /si me vòl ben, fa n salto, n gioco! / Sinnò sta tli e brùcete ntól foco!”.

Stando attorno al fuoco, da un rametto d’ulivo si staccava una fogliolina secca, la si inumidiva leggermente con la saliva e la si gettava sulla fiamma. La cabala era questa: se la foglia bruciava scoppiettando e muovendosi, era segno che l’amore era reciproco. Se invece cadeva e bruciava quietamente, indicava che il sentimento non  era ricambiato.

Si sa di innamorati “cotti” che, in caso negativo, ritentavano più volte l’esperimento. Ma sapevano, in cuor loro, che si trattava di un imbroglio. Si diceva che fosse lecito riprovare altre due volte. Ma qualcuno procedeva all’infinito, finché il segno non fosse quello desiderato. 

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