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Cronaca

STORIA Gran Consiglio del Fascismo: quando un perugino mise nelle mani di Grandi due bombe da far esplodere

A seguito del servizio, uscito ieri, sulla vendita del verbale del Gran Consiglio, il lettore Rino Fruttini, la cui storia familiare è strettamente legata alle vicende della Vetusta, ci fornisce una testimonianza di Dino Grandi, la cui mozione di sfiducia verso il capo del fascismo comportò l’arresto di Mussolini e la caduta del Regime. A proposito di quella drammatica riunione, in cui si decisero le sorti della Nazione, Fruttini rivela che – poco prima dell’inizio - ci fu un incontro dell’ambasciatore Grandi con suo zio Augusto Agostini.

L’episodio è peraltro narrato nel suo ponderoso volume. La Saga del Burchia" in cui (oltre alle storie di famiglia) si propone uno spaccato di storia di quelle ore tragiche per la Patria. Ecco il racconto: "Quando, il 24 luglio, Grandi si presentò a Palazzo Venezia per partecipare alla riunione del Gran Consiglio, prima si munì di alcune precauzioni”. Ed ecco entrare in campo il perugino: “Seguitemi, caro Grandi” esordì il LuogotenentAugusto Agostini, zio di Fruttini, nell’incontro preparatorio alla riunione.

Il racconto prosegue: “Augusto Agostini, reduce d’Africa, comandante della ‘celere Agostini’, la milizia forestale, conduce il presidente della Camera in una cantina piena di materiale bellico”. È da precisare che in quel periodo Agostini era anche il segretario della Camera dei fasci e delle Corporazioni, sempre a contatto con il suo presidente Dino Grandi. Il racconto prosegue: “Queste sono due Breda 35”. E Grandi osserva con attenzione le due bombe a mano: 63 grammi di tritolo binitronaftalina.

Suggerisce Agostini: “La impugnate con la mano destra e con la sinistra tirate la linguetta di sicurezza, vedete? A questo punto è pronta all’uso. L’esplosione lancia schegge per 10 metri, quindi, quando sganciate, tenetevi lontano”. Risponde Grandi: “Lontano? Se Mussolini tenta di arrestarmi, non mi farò prendere vivo. Scatenerò l’irreparabile, direttamente nella sala del Gran Consiglio, per il bene dell’Italia”. “Dino Grandi prende le bombe, le mette in borsa ed esce di buon passo dalla santabarbara. 

Fine della testimonianza inedita. Non fu necessario utilizzare quegli ordigni, perché la mozione passò e Mussolini fu rimosso. Ma i conti si sarebbero chiusi al processo di Verona quando il Duce attuò la sua vendetta, mettendo davanti al plotone di fucilazione non Grandi, latitante, ma altri gerarchi e perfino il genero, Galeazzo Ciano, marito della figlia Edda, rendendo orfani i suoi tre nipoti: Fabrizio, Raimonda e Marzio.

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