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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Attentato anarchico al treno dei pendolari, Stefani ai giudici: "La Fai esiste e io non parlo"

Intervenuto in aula Sergio Stefani, l'anarchico finito sotto processo, insieme ad Alessandro Settepani, per il sabotaggio di un treno diretto a Orte. "Già so che verrò condannato e non mi aspetto una sentenza diversa", queste le parole dell'imputato dopo aver ascoltato il pm Manuela Comodi. Alle 17,30 la sentenza

Prende appunti, ascolta attento e scuote la testa. Alza la voce quando sente uscire dalla bocca del pm, Manuela Comodi, la parola “vergogna”. “Si vergogni lei”, risponde Sergio Stefani da dietro le sbarre di quella mini cella in sala degli Affreschi. Non ha paura della sentenza “l’anarchico individualista”, come si descrive lui. Sussulta e si indigna ascoltando il pubblico ministero. Per lui infatti quelle parole “sono solo delle menzogne pronunciate dalla dottoressa (Manuela Comodi, ndr.)”. Non ha paura proprio lui che rischia, oggi, 22 ottobre, dieci anni di carcere per aver cercato di sabotare un treno diretto a Orte. Attentato fortunatamente sventato.

“Non sono stata di certo io a mettere Stefani in carcere”, afferma la Comodi che a suo dire ha “passato la notte in bianco” in cerca di quegli opuscoli anarchici. Opuscoli anarchici che narrano una storia tutta attuale. Quella fatta di guerriglie, una delle ultime a Roma, attentati terroristici e di “quella vergogna”, la parola è sempre la stessa,  “della classe politica che ci governa”, come dichiara l’imputato in aula. “Non mi capita tutti i giorni di chiedere una pena così alta, se si fosse infatti trattato delle Brigate Rosse avrei sicuramente chiesto 30 anni e non dieci”, aggiunge il pm alla fine della sua lunga replica. “Non dobbiamo però banalizzare quanto successo”, dichiara prima la Comodi guardando dritto negli occhi la Corte d’assise, “quel sabotaggio al treno, fatto con dei ganci, se non fosse stato sventato avrebbe potuto procurare delle vittime”.

Non sembra però un sovversivo Stefani quando prende tra la mani il volto della compagna, gentile concessione del giudice. Concessione che dura non più di un minuto. Appare commosso quel giovane che dimostra di avere un’intelligente e una preparazione non da tutti.  Interviene anche lui in quella sala degli Affreschi, illuminata solo dai neon. “Se parlo dopo aver sentito la Comodi – dichiara – non è perché sono buono o per cambiare la mia posizione, ma è perché dopo aver sentito il pm deve essere scattata la mia vena poetica”. “Quello infatti che ha detto la Comodi – afferma ancora in tutta sicurezza – sono solo una serie di menzogne”. Non ci sta il giudice e lo richiama invitandolo a limitarsi ai fatti. “Io prendo le distanze da quanto detto dagli avvocati, la Fai infatti esiste, ma non capisco per cosa vengo processato perché nella realtà dei fatti non ci sono elementi concreti”. Parla ancora: “Io sono stato già cinque anni in carcere e non ho mai parlato per non fornire ulteriore elementi su altre persone”. Silenzio. “Ma oggi già so che verrò condannato e non mi aspetto che la sentenza sia diversa”. Poi rivolgendosi alla Comodi: “Io ho compassione per chi si prostituisce, ma non nel senso di vendere il proprio corpo…”. La frase rimane interrotta. Il giudice interviene. Stefani si blocca guarda la Corte e dichiara: “Io potrei ribattere su quasi tutto quello che ha detto la Comodi”.

Arriva il momento delle difese. Stefani si siede, il “compagno” Settepani annuisce. Non viene aggiunto niente di nuovo, se non qualche sporadica replica al pm. La linea è sempre la stessa: “Nessuno voleva far del male a nessuno e i giudici devono assolvere in mancanza di prove certe”. Alle 17.30 verrà letta la sentenza. Nel frattempo il clima è teso. La sicurezza in tribunale appare moltiplicata e gli amici, una quindici in totale, fanno avanti e indietro dall’aula di giustizia.

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