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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

"Si n c’è l gobbo nn’è Natale", recita un antico adagio culinario perugino. Il menù della nostra tradizione

L'Inviato Cittadino ha imbandito la tavola tra ricordi, piatti tipici e vecchi detti...

“Si n c’è l gobbo nn’è Natale”, recita un antico adagio culinario perugino. Divagazioni etno- antropologiche e spigolature della tradizione. Cominciamo dalla sera del 24, quando si mangiavano i MACCARONI DOLCI, senza carne per via della vigilia. Si trattava di tagliatelle senza uova con la componente dolce fornita da zucchero, miele, noci sminuzzate e poche gocce d’archèmse (alchermes). Al pranzo di Natale CAPONE LESSO, POLLO a l’ARRABBIATA, CAPPELLETTI e TAGLIULINI. 

Il brodo di cappone (che in estate aveva subìto la dolorosa castrazione, per rendere la carne più morbida) era l’ideale per i CAPPELLETTI M BRODO, preferiti a quelli al ragù. La carne residua del brodo si mangiava a lesso, talvolta bagnato con una salsina verde di prezzemolo. Molto diffusa anche la GALANTINA DE POLLO, preparata solo dalle cuoche in grado di disossare perfettamente la bestia.

Immancabile la PARMIGIANA DE GOBBO, che richiedeva una lunga preparazione, perché il cardo ben pulito veniva prima lessato e fritto, quindi rifatto al forno, dopo averne posizionato vari strati alternati con sugo di carne e parmigiano (foto). Per dolce, le PINOCCATE (“pinocchiate” che in perugino dimenticano “Pinocchio” ma si rifanno alla componente “pinocolus”), ricche di pinoli, impastati con zucchero per quelle bianche e un pocodi cacao per ottenere quelle scure.

Diffuso anche il TORCIJONE, con pasta di mandorle (o anche nocciole), specie dalle parti del Trasimeno. La forma a serpente evocava l’anno nuovo che morde il vecchio succedendogli. Ida Trotta ci ricorda che il preparato risale agli Etruschi i quali lo utilizzavano anche per esorcizzare il mostro del Lago: mangiarlo equivaleva a vincerne il timore. Da bere, VIN SANTO fatto in casa, con l’uva passita appesa alle travi della cucina. E vino autoprodotto, bianco e nero, in genere una ciufega. In tempi di povertà, cosa volere di più?

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