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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

Il dramma dei 300 umbri emotrasfusi con sangue infetto, il risarcimento arriva dopo 30 anni

Sentenza del Tribunale amministrativo che impone al Ministero di pagare il risarcimento stabilito un anno e mezzo fa

Trecento umbri che negli anni '80 e '90 hanno contratto i virus dell'epatite C o dell'Aids per colpa di trasfusioni o emoderivati infetti. Sacche di sangue “guasto” in circolazione tra gli anni Settanta e Novanta, non controllato dal Servizio sanitario nazionale e proveniente da zone a rischio come le carceri dell'Arkansas, le bidonvilles sudamericane, Romania, Polonia e Africa. Il plasma serviva per la produzione di farmaci salvavita per emofiliaci e talassemici. Per questo migliaia di italiani scoprirono di aver contratto i virus dell'epatite C e dell'Aids. Ospedali e Asl nulla poterono perché quelle sacche erano consegnate per buone. Non è come adesso dove l'eccellenza passa anche per i controlli e le cure adeguate.

Nella regione, secondo i dati del ministero, sono 253 i richiedenti e 107 gli indennizzati (anche se sarebbe meglio parlare di coloro che sono in lista per essere risarciti). Per anni hanno lottato per ottenere un assegno bimestrale, in genere tra i 500 e i 700 euro al mese, a seconda della gravità dei danni subiti.

Adesso il Tribunale amministrativo mette un punto fermo sul risarcimento dovuto ai tanti infettati per il tramite di una trasfusione. È il caso di una donna, assistita dagli avvocati Cinzia Calvanese e Doriana Succhiarelli.

Il Ministero della Salute era già stato condannato a risarcire la donna, sentenza civile del 30 novembre 2016 ed esecutiva il 7 luglio 2017, con 305.428,84 euro “a titolo di risarcimento del danno da emotrasfusioni avvenute nel 1988 con sangue infetto da epatite C”. Ad un anno e mezzo, però, ancora non era stato pagato nulla. Quindi la donna si è rivolta al Tar per ottenere l’esecutività del pagamento. Il Ministero intimato si è costituito in giudizio non contestando la pretesa.

I giudici amministrativi non hanno rinvenuto “ragioni per denegare la richiesta esecuzione, non avendo il Ministero provveduto al pagamento delle somme in questione” e hanno disposto che il Ministero della Salute “provveda entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, al pagamento delle somme dovute in favore di parte ricorrente”. Nel caso di inadempimento è stato nominato “quale commissario ad acta il direttore della Direzione Generale del Personale, dell’Organizzazione e del Bilancio del Ministero della Salute” a dare esecuzione alla sentenza.

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