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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Umbria, affetta da malattia genetica chiede la reversibilità della pensione del padre: negata

La Corte dei conti accoglie le richeiste dell'Inps: l'inabiltà è intervenuta nel tempo e la ricorrente ha anche lavorato, in passato

Chiede all’Inps il mantenimento della reversibilità della pensione del padre in quanto malata e totalmente inabile al lavoro, ma poi spunta fuori un’occupazione e la Corte dei conti respinge la richiesta.

Il ricorso alla giustizia contabile, in funzione pensionistica, è stata fatta da una donna, difesa dagli avvocati Andrea Massi e Monia Farnesi, chiedendo “il riconoscimento, previa eventuale nomina di CTU, della sussistenza delle condizioni sanitarie ed economiche necessarie ai fini della concessione del beneficio della pensione di reversibilità, contestando i provvedimenti dell’Inps che non la riconoscono inabile alla data del decesso del padre”.

La ricorrente, con invalidità assoluta riconosciuta nel 2016, sosteneva di dover essere riconosciuta “inabile al lavoro dal momento della sua nascita, in quanto la sua attuale situazione clinica sarebbe il risultato di alterazioni genetiche, che solo le limitate conoscenze mediche dell’epoca non consentirono di individuare”.

L’Inps si è opposta a tale richiesta, chiedendo in subordine di “dichiarare la decorrenza del diritto dal primo giorno del mese successivo alla domanda amministrativa e comunque l’intervenuta prescrizione dei ratei antecedenti a quinquennio da valido atto interruttivo e comunque che il ricorrente non ha diritto al cumulo interessi tra rivalutazione”.

L’ente previdenziale ha anche sottolineato che “il requisito sanitario dell’inabilità, rilevante a fini di pensione ai superstiti, deve essere presente alla data del decesso del dante causa e consistere nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”.

La donna, invece, non si sarebbe trovata, al momento del decesso del padre, in tale condizione, come peraltro comproverebbero le stesse affermazioni contenute nella memoria di controparte, ove si evidenzia che, nei primi anni ‘80, la ricorrente aveva ottenuto un riconoscimento di invalidità pari al 46% da parte dell’Inps.

I giudici contabili ha ricordato che la legge sui trattamenti pensionistici riconosce il diritto alla reversibilità ai figli “di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento della morte”. Secondo la consulenza medica, però, l’inabilità assoluta e permanente della ricorrente “era comunque presente nella potenzialità genotipica di tale substrato genetico che ha inevitabilmente e progressivamente minato la salute della paziente ponendo le basi per quella inabilità assoluta e permanente che si è poi completamente palesata negli anni successivi”.

Il fatto che l’attuale condizione della ricorrente abbia cause genetiche non equivale quindi ad affermare che la assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa fosse già subentrata alla data della maggiore età. Tra l’altro l’Inps ha depositato l’estratto conto contributivo della ricorrente, dimostrando che la medesima ha effettivamente svolto attività lavorativa, seppure in maniera discontinua, dal 2004 al 2016, quindi non si trovava nella assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.

Ne consegue il rigetto del ricorso, con spese compensate.

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