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Martedì, 26 Settembre 2023
Cronaca

Psa, cos'è la peste suina africana: la malattia e l'epidemia

La spiegazione di Fabrizio Rueca, direttore del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell'Università degli Studi di Perugia e professore ordinario di Clinica medica veterinaria, e Fabrizio Passamonti, professore associato di Malattie infettive degli animali domestici

Nei primi giorni di gennaio 2022 il Centro di Referenza per le Pesti Suine dell’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche ha individuato la Psa in una carcassa di un cinghiale trovato morto in Piemonte. “L'Italia continentale - spiegava lo Zooprofilattico - si unisce a tutti quei paesi europei che sono già stati coinvolti nell'attuale ondata epidemica della malattia. La Peste Suina Africana non si trasmette all'uomo. Il virus infetta solo i suidi, domestici e selvatici, con un elevato tasso di mortalità. Inoltre, la presenza della malattia comporta ingentissimi danni economici a carico del settore zootecnico coinvolto, con notevoli limitazioni di carattere commerciale”.

Fabrizio Rueca, direttore del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell'Università degli Studi di Perugia e professore ordinario di Clinica medica veterinaria, e Fabrizio Passamonti, professore associato di Malattie infettive degli animali domestici, spiegano cos'è la Psa, la peste suina africana e stilano il punto della situazione sull'impatto e sulle conseguenze della malattia e dell'epidemia.

Psa, cos'è la peste suina africana

La peste suina africana (PSA) “è una malattia infettiva che colpisce i suidi sostenuta da un virus che appartiene alla famiglia Asfarviridae genere Asfivirus”, sottolineano i due professori dell'Unipg. “A cento anni dalla prima descrizione in Kenya – aggiungono - la malattia rappresenta oggi, più che mai, la principale sfida che il settore zootecnico sta affrontando. L’impatto devastante della PSA ha coinvolto l’intera economia globale con gravi risvolti sanitari e ambientali. In virtù della sua tendenza a propagarsi a livello internazionale e della sua capacità a raggiungere proporzioni epidemiche tali da mettere a repentaglio la sicurezza degli scambi tra le nazioni, è ritenuta una delle malattie transfrontaliere più importanti. L’industria suinicola garantisce un’importante fonte di proteine di alta qualità e si prevede un aumento della produzione di carne per soddisfare la crescente domanda globale ma a causa della PSA negli ultimi 5 anni sono stati abbattuti milioni di suini”.

La PSA, proseguono Rueca e Passamonti, “è una malattia generalmente mortale, ma può manifestarsi in diverse forme: iperacuta, acuta, subacuta o cronica e diversi sono i fattori che determinano il decorso dell’infezione e la variabilità dei segni clinici come l’età e la razza dell’ospite, la dose virale, la via di esposizione e soprattutto dalle caratteristiche del virus in causa. I suidi che sopravvivono diffondono il contagio attraverso l’eliminazione del virus”.

Fino a tempi recenti per questa malattia “venivano descritti tre cicli epidemiologici indipendenti”.

Un ciclo “silvestre considerato l’origine di PSA come malattia dove il virus circola tra gli ospiti naturali (facoceri e zecche molli) senza causare malattia nell’ospite vertebrato”; un ciclo “zecca-maiale”, dove il virus “viene trasmesso principalmente tra i suini domestici con le zecche molli del genere Ornithodorus che fungono da serbatoio consentendo al virus di persistere a livello ambientale come era stato descritto nella penisola iberica negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso”; e un ciclo “domestico”, riconosciuto “per la stragrande maggioranza dei focolai di PSA a livello globale, dove il virus viene trasmesso tra i suini domestici o attraverso i loro prodotti, non coinvolgendo i serbatoi naturali”.

La spiegazione di Rueca e Passamonti sulla Psa prosegue: “Per quanto riguarda gli ospiti vertebrati sono sensibili all’infezione solamente le specie appartenenti alla famiglia Suidae in particolar modo il maiale domestico”. Per quanto riguarda il cinghiale “la condizione di portatore asintomatico aumenta la diffusione del virus anche in relazione alle caratteristiche comportamentali che permettono al cinghiale spostamenti in aree molto vaste con probabilità di contatto con animali domestici”.

Psa, l'epidemia di peste suina africana

Il modello epidemiologico osservato nell’attuale epidemia di PSA nell’Europa centrale e orientale, sottolineano i due professori dell'Università degli Studi di Perugia, “consiste in un ciclo epidemiologico denominato cinghiale-habitat ed è caratterizzato sia dalla trasmissione diretta tra i cinghiali che dalla diffusione indiretta attraverso l’habitat”.

E ancora: “La contaminazione dell’ambiente attraverso carcasse di cinghiali infette offre possibilità di nuove infezioni a seconda delle caratteristiche dell’areale, della stagione, della permanenza e stato di decomposizione. Il clima freddo umido favorisce la persistenza ambientale del virus”.

Il virus “si trasmette per contatto diretto con animale ammalato, ma anche per ingestione di materiale infetto come scarti di cucina o carni provenienti da animali infetti, non è trasmissibile all’uomo né ad altri animali. Altre possibilità di contagio derivano dal contatto con strumenti, automezzi o abiti contaminati e da punture di zecche infette”.

La sintomatologia sia nel suino che nel cinghiale “è caratterizzata da debolezza, astenia, aumento della temperatura corporea, diminuito consumo di alimento, emorragie interne e a livello cutaneo di solito visibili sui padiglioni auricolari, in varie aree della superficie corporea e, nei soggetti in gravidanza, aborto. Generalmente la morte sopravviene in circa 10 giorni”.

Per la peste suina africana “al momento, non abbiamo a disposizione né terapia né un vaccino che protegga gli animali dalla infezione o, almeno, dal manifestarsi della sintomatologia. Per questo motivo quando l’infezione si presenta in un allevamento diventa necessario l’abbattimento di tutti gli animali presenti (malati, infetti, sospetti infetti e, al momento, sani) per limitare la diffusione del virus”. La diagnosi di certezza “viene fatta da laboratori accreditati e autorizzati, segnatamente per l’Italia il Centro di Referenza per le Pesti Suine dell’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, diretto dal dottor Francesco Feliziani”.

La Peste Suina Africana, spiegano Rueca e Passamonti, “è endemica nell’Africa Sub-sahariana, è comparsa nel 2007 in alcuni paesi dell’Est (Georgia, Armenia, Azerbaigian), ma anche nella Russia Europea, Ucraina e Bielorussia, a partire dal 2014 è stata diagnosticata in Unione Europea (Lituania, Polonia, Lettonia, Estonia e successivamente Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Romania, Belgio e Bulgaria). In Sardegna è presente dal 1978 ed è attivo un piano di eradicazione”.

La diffusione attraverso questi Paesi “è stata veicolata dai cinghiali, favorita dall’aumento numerico di queste popolazioni osservato negli ultimi anni e dalla conseguente espansione delle aree territoriali da loro occupate fino quasi alla urbanizzazione come stiamo osservando in Italia e in molti altri Paesi Europei ed Extra-Europei”. Infine in Italia il virus “è stato rilevato nel mese di gennaio 2022 in carcasse di cinghiali deceduti in Piemonte e Liguria”.

Psa, le conseguenze e i danni dell'epidemia di peste suina africana

La peste suina africana, evidenziano Rueca e Passamonti, “determina danni molto gravi alle produzioni zootecniche suine, sia per la mortalità che essa direttamente determina, ma anche per la necessità, nell’allevamento infetto, di abbattere tutti gli animali presenti per limitare la diffusione del virus, questo a motivo della già ricordata mancanza di una terapia possibile o di una profilassi vaccinale”.

Sul fronte della prevenzione, specificano i professori, “occorre aumentare la sorveglianza sulla popolazione dei cinghiali con la segnalazione delle carcasse di animali deceduti sulle quali saranno poi esperiti gli accertamenti diagnostici; altro aspetto importante è l’attenzione alla biosicurezza negli allevamenti con la disinfezione degli strumenti utilizzati, degli indumenti, dei mezzi di trasporto che entrano. Evitare la penetrazione di cinghiali nelle aree di competenza degli allevamenti e il contatto tra suini allevati al brado o semi-brado e i cinghiali”.

E ancora: “Dall’inizio dell’attuale epidemia nel 2007, fino all’individuazione del primo caso all’interno della UE nel 2014, le infezioni sono state osservate principalmente in allevamenti di suini con basso livello di biosicurezza e in popolazioni di cinghiali. Alcuni studiosi ipotizzavano che la malattia si sarebbe arrestata spontaneamente non appena fosse stata sotto controllo la popolazione suina domestica visto l’elevato tasso di mortalità e l’assenza di vettori. Tuttavia questa ipotesi si è rilevata errata in quanto l’infezione si è mantenuta localmente nella popolazione di cinghiali indipendentemente dai focolai domestici. Inoltre si sono verificati focolai a lunga distanza attribuibili a fattori antropogenici come il trasporto delle carni o prodotti a base di carni contaminate i cui scarti riversati come rifiuti in ambienti abitati da cinghiali o somministrati ai maiali come alimento”.

Rueca e Passamonti sottolineano che “Poiché la PSA è una malattia soggetta a notifica all’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE), l’introduzione in un nuovo Paese o area geografica comporta l’imposizione di restrizioni commerciali, oltre alla perdita diretta causata dall’elevata mortalità. Le segnalazioni di focolai in Cina e in Europa centrale e orientale e ora anche nel nostro Paese conferma definitivamente la gravità dell’estensione della PSA per l’industria suinicola mondiale. Nonostante gli sforzi di diversi gruppi di ricerca per creare un vaccino ad oggi sono disponibili solo misure di controllo basate sulla diagnosi precoce e sull’attuazione di rigide procedure sanitarie tra cui lo stamping out degli animali sia domestici che selvatici. Tuttavia, la rapida diffusione della malattia dimostra che queste azioni sono chiaramente insufficienti per controllare l’attuale situazione”.

“Questi ultimi anni – concludono i due professori di Veterinaria dell'Unipg - saranno ricordati per il COVID-19 ma anche il settore zootecnico ha dovuto e sta affrontando un’emergenza globale: la peste suina africana, che sta interessando milioni di suini anche se i dati che riguardano la Cina, che possiede la metà della popolazione suina allevata in tutto il mondo, non sono ufficiali”.

L’impatto della malattia, aggiungono, “è devastante, non solo per le ingenti perdite del patrimonio zootecnico ma soprattutto per i risvolti ambientali ed economici a livello globale che vanno dal blocco delle movimentazioni degli animali e loro prodotti all’aumento del costo della carne e derivati”.

In Europa “preoccupa la diffusione del cinghiale che rappresenta un potenziale veicolo di diffusione, anche a lunga distanza, della malattia. Oggi si guarda con più attenzione anche agli allevamenti “domestici” che nell’est Europa hanno registrato il più alto numero di casi legati alle scarse misure di biosicurezza adottate rispetto all’allevamento industriale”.

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