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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Fa prostituire giovani connazionali, revocato il permesso di soggiorno. Il Tar dà ragione alla Questura

La donna ha chiesto di considerare i legami familiari, ma non vive più con il marito e il figlio è tornato in patria

Sfruttava connazionali facendole prostituire e gestiva il traffico di esseri umani con il marito, entrambi in Italia con permesso di soggiorno regolare. Dopo gli arresti e le condanne è arrivato anche il mancato rinnovo del permesso di soggiorno e l’espulsione a fine pena.

La “madame” nigeriana si è rivolta al Tribunale amministrativo regionale chiedendo l’annullamento degli atti di “rigetto della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, emesso dalla Questura di Perugia” emesso “alla luce di una sentenza di condanna in primo grado per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione”.

Secondo la donna il diniego di rinnovo del permesso sarebbe frutto di un “errore nella valutazione di fatto e di diritto, non risultando nel caso di specie l’automatismo esclusivo alla permanenza sul territorio nazionale del condannato e non essendosi valutata l’importanza effettiva degli episodi imputati alla ricorrente, nonché la personalità sociale e lavorativa della stessa” e non sarebbe stata effettuata una valutazione “in ordine alla natura ed all’effettività dei vincoli familiari, nonché all’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine ed alla durata del suo soggiorno nel territorio nazionale”.

Secondo i giudici amministrativi il ricorso è “infondato e va respinto” perché la donna “è stata condannata per il reato di sfruttamento della prostituzione, ovvero per un delitto rispetto al quale il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno costituisce per l’autorità competente un atto vincolato, non occorrendo a tal fine alcuna ulteriore valutazione né riguardo alla pericolosità sociale del cittadino straniero né riguardo al suo grado di integrazione nel contesto sociale italiano”.

Quanto ai legami affettivi non vi sono, in quanto il marito risulta trasferito a Firenze ed il figlio rientrato in patria.

Da qui il rigetto della domanda e la condanna al pagamento delle spese processuali.

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