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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca

Omicidio Polizzi, l'Accusa: "Il padre è il killer, il figlio sapeva tutto: condannateli!"

Entra nella sua fase finale il processo per l'omicidio di Alessandro Polizzi. Oggi, 30 marzo, si è tenuta in aula la requisitoria del pm Antonella Duchini

“Aveva le chiavi”. “I colpi alla  testa sono stati inferti dopo la morte”. E ancora “la posizione del Polizzi e della Tosti , durante la colluttazione, è inconfutabili e risulta attendibile la versione di Julia”. Tre punti, tre semplice punti, ma che per il pubblico ministero Antonella Duchini hanno un’importanza fondamentale. Tre punti che riescono a smontare la tesi difensiva messa in piedi dai legali di Riccardo e Valerio Menenti, il padre e figlio accusati, il primo di avere ucciso Alessandro Polizzi, mentre il secondo di esserne il mandante.

In possesso delle chiavi – “Senza alcun dubbio – afferma il pm – la serratura dell’appartamento di via Ettore Ricci, dove vivevano i ragazzi, è stata aperta con le chiavi. Questo lo si evince, non solo dalle dichiarazioni di Massimo Tosti (padre di Julia, ndr.) che ha confermato come fosse semplice poter aprire la porta anche se le chiavi erano inserite internamente, ma anche dalle indagine svolte. Le serrature - spiega la Duchini - non presentavano alcuna forzatura. Menenti deve aver quindi aperto la porta con le chiavi e poi l’ha sfondata con un calcio per far credere che ci fossero segni di effrazione”. Una tesi che mette in bilico la posizione di Valerio Menenti. Ha dato lui le chiavi al padre per commettere il delitto come sostiene l’Accusa?

REQUISITORIA (PARTE 2) - TUTTE LE INTERCETTAZIONI SHOCK LETTE IN AULA 

I colpi alla testa – “Le ferite alla testa di Alessandro Polizzi, quindici in tutto, non presentavano sanguinamento – spiega la Duchini in aula -, ciò significa che sono state inferte successivamente al decesso e che Riccardo Menenti ha continuato a colpire il ragazzo anche dopo la sua morte”. Un particolare di non poca rilevanza.  Il pm Antonella Duchini potrebbe, infatti, chiedere, grazie a questo essenziale particolare, l’aggravante della crudeltà per Riccardo Menenti, dato che l’uomo si sarebbe accanito sul corpo di Alessandro, dopo la morte.

Posizione dei giovani durante la colluttazione “Le dichiarazioni rese da Julia immediatamente dopo l’omicidio – dichiara il pm Antonella Duchini – sono assolutamente veritiere. A darne conferma le indagini effettuate sulla scena del reato. In base alle refertazioni, scopriamo che sui cuscini non vi erano tracce di sangue che invece troviamo nel piumino rosa. È  chiaro che la colluttazione sia avvenuta in piedi e che il colpo sia stato sparato a oltre 50 centimetri di distanza. Un dato di non poca importanza dato che – spiega sempre il pm – questo vorrebbe dire che non è stato affatto un colpo a bruciapelo, come ha invece più volte tentato di provare la difesa con il consulente balistico Farnesi”. Un altro dato, quest’ultimo che smonterebbe di fatto la tesi difensiva. Alessandro non si sarebbe, infatti, in alcun modo sparato accidentalmente da solo. Il colpo fatale, data la distanza di oltre 50 centimetri, deve essere partito dall’arma del suo assassino.

Angoscia. È questa l’unica parola che viene in mente, ascoltando il racconto reso da Julia Tosti solo poche ore dopo la sua aggressione. “Mi sono affacciata e l’ho visto, ha fatto come per tornare indietro e uccidermi”. Una ragazzina di 19 anni costretta a fare i conti con la morte. Si è accasciata a terra per abbracciare il suo Alessandro. Si è stesa al suolo accanto a quel corpo freddo con la speranza che fosse viso, urlando con tutta l’aria in corpo: “Si è mosso, è vivo”. Julia saprà solo alcuni giorni dopo che il suo Alessandro non era più in quella terra a combattere al suo fianco.

Un uomo, Valerio Menenti, che, stando alla ricostruzione dell’Accusa, appare come un assassino pronto a colpire senza pietà. A spezzare le vite di chi, a suo avviso, avrebbe pestato i piedi al suo unico figlio. Ed è proprio ascoltando la ricostruzione che emerge l’efferatezza e la lucidità dell’assassino. È entrato nella stanza mentre i due giovani dormivano abbracciati. Alessandro, sentendo il rumore del primo sparo, si è alzato pronto a difendere sé stesso e la vita di chi amava. Riccardo ha sparato un colpo. Un colpo fatale che ha stroncato la vita in soli 40 secondi ad Alessandro. Un colpo entrato nell’ascella destra e fuoriuscito dall’ascella sinistra e finito, seguendo la sua rotta, nel braccio destro di Julia che si trovava in quel frangente al fianco della vittima. Ma il giovane non si è arreso. Si è alzato in piedi ed è in quel momento, nell’ultimo sforzo vitale, che è riuscito a ferire Riccardo Menenti con il cane della pistola.

Una ricostruzione resa possibile grazie alle tracce di sangue, analizzate immediatamente dopo i fatti. Riccardo si è diretto nell’appartamento di via Ettore Ricci pronto a commettere il delitto. Quella pistola, per il pm Antonella Duchini, poteva essere sua e solo sua. La prova? L’assenza di tracce sull’arma del delitto che farebbero presumere a una attenta pulizia della Beretta 34 prima di agire, il tutto al fine  di non essere scoperto. Una volta compiuto il violento gesto, Menenti si sarebbe diretto nel suo casale di Todi. Una ricostruzione accertata dalle tracce di sangue trovate nella bottiglietta dell’acqua ossigenata posta sopra il camino. Poi, da lì, sarebbe ripartito per andare a trovare il figlio Valerio in ospedale.

Ma è proprio quest’ultimo ad apparire scostante e freddo nei confronti dell’accaduto. Le intercettazioni in cella, sembrerebbero infatti parlare chiaro e mettere in evidenza, sempre per il pm Antenella Duchini, il coinvolgimento di Valerio nel delitto. “Era tutto chiuso?”, chiede al padre. “Sì, ci avevano chiuso tutto”, risponde Riccardo senza esitazione. Più volte il ragazzo, però, prima di essere arrestato avrebbe, in base a ben tre diverse testimonianze, minacciato di far uccidere Alessandro. Ma è il padre a dire sempre in cella “Era più semplice che lo aspettavo con la macchina, lo mettevo sotto e vaffanculo”. “Dovevo essere furbo, invece, de andà io, dovevo chiamà du killer”.

L’arma – Da dove proveniva quella pistola? Dove avrebbe preso Riccardo Menenti la Beretta 34? In base alle testimonianza rese, sia da Julia che dall’amico di Valerio, Gubbiotti, la pistola era stata lasciata in eredità dal nonno, insieme all’auto rossa trovata nel casale di Todi. Una pistola che risulterebbe inoltre coincidere con le descrizioni rese dai testimonianze che l’hanno descritta come datata e non registrata.

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