La scalata della 'ndrangheta a Perugia: pizzo e teste di agnello a chi non si sottomette
Non solo riciclaggio, non solo droga e prostituzione. Ma il clan legato alle famiglie di Cirò e Cirò Marina aveva iniziato anche un'opera mafiosa completa per conquistare Perugia e poi tutta la provincia. Ecco gli affari, gli immobili e le minacce a commercianti e imprenditori
Ancora Ponte San Giovanni. Ancora una volta la sede preferita della mafia per fare affari, riciclare denaro, conquistare aziende e locali con la forza (usura e intimidazione) e dove fare le riunioni di cosca. L'Operazione Quarto Passo dei Carabinieri e dell'Antimafia svela come le mani della 'Ndrangheta siano in tutta la provincia di Perugia ma la testa del clan è ben salda a Perugia, nel quartiere più popoloso del capoluogo.
Nell'ordinanza per gli arresti di 61 tra affiliati, fiancheggiatori e veri e propri boss emerge una Ponte san Giovanni in mano alla piovra: un bar e un ristorante utilizzati come sede del clan umbro legato alle famiglie calabresi della malavita; è qui dove si fanno riunioni, si prendono accordi e si decidono anche azioni tipicamente mafiose che fino ad oggi in Umbria non erano state mai tentate. La 'ndrangheta ora minaccia, fa estorsioni, provoca incendi dolosi per poi promettere-ricattare protezione (ovvero il pizzo) a commercianti e imprenditori. Si occupa di droga e prostituzione (diversi appartamenti), presta soldi a tassi di usura. Ha conquistato dei capannoni industriali sfruttando crisi e disperazione degli imprenditori onesti.
TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI
Ma c'è anche dell'altro: cani uccisi e teste di agnello inviate a coloro che non si vogliono sottomettere. Per i Carabinieri siamo di fronte ad una filiale in Umbria delle famiglie di Cirò e Cirò Marina, anche se molto autonoma e soprattutto formata da persone emigrate in Umbria da almeno 15 anni. Molti sono gli incontri documentati dai carabinieri a Perugia tra il gruppo umbro e i fratelli Vittorio e Vincenzo Farao, figli di Silvio Farao e cugini di Giuseppe Farao, considerati dagli inquirenti i reggenti della cosca. I mafiosi usavano la tecnica del terrore e si presentavano per quello che erano per vincere qualsiasi resistenze: "Siamo della 'ndrangheta, siamo calabresi".
SEQUESTRI IN CENTRO - Oltre che a Ponte san Giovanni e in altre regioni (Calabria, Lazio e Marche le principali) i Ros hanno messo i sigilli su immobili anche nel centro storico del capoluogo che sarebbero stati nella disponibilità della cosca umbra.
I NUMERI DELL'INCHIESTA - La cosca aveva messo le mani su 39 imprese, 106 immobili, 129 veicoli, 28 contratti assicurativi, oltre 300 rapporti bancari e di credito. In totale sono 61 le persone indagate, 46 persone in carcere, 8 arresti domiciliari, 7 sottoposti all’obbligo di dimora.
COME SPOLPARE VIVI GLI IMPRENDITORI - Edilizia, fotovoltaico, locali di servizi e locali come bar, pub e ristoranti: ecco dove investivano i denari sporchi il clan mafioso con sede a Perugia ma legato alle famiglie della 'ndrangheta di Cirò e Cirò Marina. Tanti soldi a disposizione, gestiti tramite prestanomi, per un valore di 30milioni di euro. Il clan spolpava vivi imprenditori e commercianti perugini con diverse operazione. (ECCO QUALI)
IL CAPO - Natalino Paletta. E' lui il boss del clan 'ndranghetista istituito a Perugia, ma con forti legami con le famiglie criminali di Cirò. Paletta ha messo in piedi un sodalizio criminale che ha mosso i suoi primi passi, secondo i Ros, sei anni fa proprio a Perugia e aveva iniziato a prendere possesso anche in provincia di Perugia. Gli arresti contro le infiltrazioni mafiose sono stati eseguiti nelle province di Perugia, Roma, Crotone, Cosenza, Arezzo, Siena, Ancona, Macerata, Viterbo, Caserta, Bologna e Varese, nonche” in Germania.
(aggiornamento nel corso della giornata)