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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Accesso agli atti giudiziari per i giornalisti, l'Unione Camere penali "sconfessa" il procuratore Cantone

L'Osservatorio informazione giudiziaria, media e processo penale: "È proprio così che si allarga indebitamente la forbice tra il processo vero e il processo mediatico"

Il procuratore della Repubblica di Perugia, Raffaele Cantone, ha aperto alla possibilità, da parte dei giornalisti, di essere autorizzati al rilascio di copie di atti processuali non più segreti, attraverso le modalità meglio indicate nel provvedimento emesso in pari data.

Autorizzando il rilascio dei documenti il procuratore Cantone ha ritenuto la configurazione di “un interesse legittimo, in capo ai giornalisti, a ottenere le copie di atti processuali non più coperti da segreto, sia pure richiamando le necessarie cautele a tutela dei terzi interessati”.

L’Unione delle Camere penali e l’Osservatorio informazione giudiziaria, media e processo penale, intervengono con un loro documento e ricordano come l’iniziativa del procuratore Cantone provi a regolare i rapporti tra procura e stampa alla luce della normativa sulla presunzione di innocenza e che lo faccia ; “non tradendo di una sola virgola il contenuto dell’intervento che egli fece a Catanzaro, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti Italiani. Allora Cantone salutò con favore il recepimento della normativa che, per la prima volta, disciplinava il flusso informativo intorno alle vicende giudiziarie. Il fatto che la Procura della Repubblica divenisse unica fonte ufficiale dell’informazione giudiziaria – questo il succo – avrebbe finalmente scongiurato il ricorso da parte di giornalisti al mercato nero delle notizie. Tuttavia, ci disse il Procuratore, occorreva un occhio di riguardo, un temperamento, per il fatto che la stampa è strumento fondamentale per la democrazia e non può diventare mera ‘velinista’ di scarni comunicati della Procura. E per salvaguardare il diritto di informazione, sarebbe occorso nientemeno che concedere ai giornalisti accesso diretto agli atti processuali ostensibili come, ad esempio, le ordinanze di misure cautelari, consentendo alla stampa di esercitare, senza filtri, il controllo e la critica nei confronti dell’attività giudiziaria”.

Le Camere penali non condividono “una tale impostazione” e nel documento, che riportiamo per esteso, ricordano che “la circolare in questione corre oggi spedita verso la pretesa salvaguardia del corretto esercizio di cronaca e dei principi garantiti dall’art. 27 della Costituzione, attraverso una singolare interpretazione dell’art. 116 c.p.p., che non possiamo condividere. Soggetto legittimato a richieder copie degli atti di un procedimento penale, fermo restando il divieto di pubblicazione di atti coperti da segreto istruttorio, è certamente anche chi, non essendo parte del procedimento penale, dimostri un interesse, non rileva di che natura, purché apprezzabile e giuridicamente tutelato. Ma da qui muovendo, la circolare si spinge ad inserire a pieno titolo il giornalista tra i soggetti titolari di un interesse qualificato a richiedere copia di atti processuali non più segreti, a patto che esponga per bene le ragioni che rendono necessaria tale sua conoscenza diretta. E sempre a patto che ciò non interferisca con le indagini in corso, non leda i diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento o di terzi, non comporti comunicazioni di dati sensibili o notizie lesive della dignità e riservatezza delle vittime e delle persone offese, a maggior ragione se si tratti di minori; cioè …praticamente mai. Tornando seri, ciò che questa regola comporta è il rischio di abbattere proprio i principi informatori della legge sulla presunzione di innocenza! La direttiva europea che abbiamo finalmente recepito, al suo art. 3 e nel considerandum n. 18 specifica che le autorità pubbliche possono divulgare informazioni qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi alle indagini o per l’interesse pubblico, adducendo esempi di deroghe estremamente circoscritti, tra i quali la trasmissione di video per aiutare l’individuazione dell’autore del reato o di informazioni da diffondersi tra gli abitanti della zona in caso di reati ambientali, o ancora al fine di prevenire turbative per l’ordine pubblico. In altre parole, al di là di casi eccezionali, la direttiva proscrive la pubblicazione degli atti del procedimento penale e ci suggerisce una rivisitazione dell’area protetta dall’art. 114 del nostro codice di procedura penale, oltre che delle corrispondenti norme sanzionatorie. E si tratta di una norma che già prevede il divieto di pubblicazione anche parziale degli atti del fascicolo del dibattimento se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, proprio per evitare di inquinare la “virgin mind” del giudice. Altroché sdoganare il diritto di copia e di pubblicazione degli atti di indagine ai giornalisti! Del resto, il dettato dell’articolo 116 del codice di procedura penale ripete quello dell’art. 165 c.p.p. del codice Rocco e postula l’esistenza di un interesse legittimo, pubblico o privato, ad accedere ai fascicoli processuali, il che è ben altro rispetto ad un mero interesse di natura informativa. La correlazione tra gli atti dell’investigazione e l’accertamento processuale delle responsabilità è del resto un’operazione assai delicata e già parecchio complessa per coloro che sono chiamati ad occuparsene istituzionalmente; appannaggio dei quali è dunque bene resti, al fine di evitare travisamenti pericolosi per le sorti dei processi e dei soggetti coinvolti. Diversamente, continueremo ad assistere a vicende come quella accaduta pochi giorni fa a Nola, dove in completo spregio della presunzione di innocenza, sono fioccati titoli sui giornali che davano per scontata la responsabilità di cancellieri ed operatori giudiziari arrestati per gravi atti di corruzione. Come spesso accade, a corredo delle informazioni, i cronisti erano entrati in possesso di intercettazioni video ambientali, regolarmente trasmesse su reti locali e nazionali che, guarda caso, sono risultate non autorizzate, inutilizzabili addirittura in fase cautelare, tanto da far cadere ogni misura posta al vaglio del Tribunale della libertà. Rendere ostensibili alla stampa gli atti di indagine, peraltro, significa gioco forza fornire ad un pubblico che non dispone degli strumenti per leggerla correttamente, la narrazione di una parte del processo, quella più forte ed in vantaggio, assai prima del fischio finale. Del risultato vero, a quel punto, non interessa più a nessuno. È proprio così che si allarga indebitamente la forbice tra il processo vero e il processo mediatico, che la notizia si espande varcando liberamente le soglie delle garanzie concesse dalla legge all’indagato, è così che si rovina inutilmente la reputazione della gente, alla faccia della presunzione di innocenza”.

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