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Cronaca

Omicidio di Samuele - "Avvocato vergognati, non si difendono gli assassini", il delirio della giustizia fai da te

Il difensore della trans accusata di omicidio preterintenzionale apostrofato per strada. La solidarietà dei colleghi, ma anche qualche protesta contro la categoria: fate assolvere i criminali

C’è una pericolosa deriva in atto, soprattutto sui social, con riverberi anche nella vita reale: quella che, sempre più frequentemente, identifica l’avvocato con l’imputato e, spesso, con il reato, quasi ne fosse complice. Stessa cosa accade nel mondo del giornalismo, quando si identifica il giornalista con la notizia in sé: si dà quella notizia perché ne si condivide l’ideologia intrinseca.

Inutile ribadire che l’avvocato difenda una persona accusata di qualche reato perché così lo prevede la Costituzione, come il giornalista che dà le notizie per informare. E se per il giornalista accade che questi possa essere schierato, immaginare l’avvocato complice dell’indagato (che non è sinonimo di colpevole) è assurdo.

Accade a Perugia, ad esempio, che il difensore di una persona accusata di omicidio preterintenzionale, venga insultato per strada con un “Vergognati, non si difendono gli assassini”. A parte il fatto che prima di arrivare alla qualifica di “assassino” servirà un processo e tre gradi di giudizio, bisognerebbe soffermarsi sul principio che chiunque sia accusato di qualcosa, ha diritto di difendersi. La stessa persona che ha inveito contro l’avvocato, magari, potrebbe ricevere una contravvenzione, ma essere sicuro di non essere lui alla guida di quell’auto che non è sua. Secondo quel metro di giudizio dovrebbe addossarsi l’epiteto di “pirata della strada” e pagare la multe. Non potrebbe rivolgersi ad un legale, il quale diventerebbe complice di un “pirata della strada” e vergognarsi di difenderlo.

“Vergognati, non si difendono gli assassini: così un ignoto, stamattina, mi ha dato il buongiorno, allontanandosi rapidamente a bordo di un ciclomotore.

Il fatto non è grave in sé, anche perché non è evidentemente una minaccia, ma è indice della modestissima considerazione che la gente ha, in questi tempi, per il ruolo del difensore.

C'è un'aria pesante, in giro. E non in relazione al mio, piccolo, provinciale caso, in cui la tragedia, e l'ho detto sin dal primo giorno e oggi lo ripeto, è stata la morte di un giovane ed io (senza scendere in alcun modo nei dettagli) sono solo chiamato a fare il mio dovere, ma in relazione al senso che la collettività dà alla Giustizia, alle prerogative dell'avvocato, e a quei principi costituzionali per i quali tutti dovremmo sempre lottare.

Scusate lo sfogo”.

Lo scrive l’avvocato Francesco Gatti, difensore della trans Patrizia, accusata di aver ucciso Samuele De Paoli dopo una lite. La bacheca del difensore ha raccolto decine di attestati di solidarietà di colleghi che ribadiscono, all’incirca, tutti lo stesso concetto: indagato non significa colpevole e avvocato non è sinonimo di complice. C’è anche chi addossa agli avvocati la responsabilità di “piegare” la legge al proprio uso per far assolvere i colpevoli. In tanti anni di cronaca giudiziaria non mi è mai capitato di assistervi.

Certamente ci sono professionisti che riescono a trovare espedienti giuridici, comunque previsti dalle normative, che depongono a favore degli indagati o imputati. Questo spiega anche l’idea che in molti hanno del funzionamento della giustizia e dei processi: se sei ricco o con amici te la cavi, anche se sei un criminale te la cavi. L’avvocato cerca sempre di fregare il cliente. Per alcuni reati non ci dovrebbe neanche essere il processo. Almeno finché non tocca personalmente.

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