Omicidio Provenzano, niente risarcimento per ingiusta detenzione per l'imputato assolto
Respinto il ricorso per Cassazione presentato da uno degli accusati e scagionato con sentenza definitiva
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso per la liquidazione dell’equa riparazione dovuta a ingiusta sottoposizione a misura cautelare privativa della libertà personale presentato da Giuseppe Affatato, processato e assolto con sentenza irrevocabile per il concorso nell’omicidio di Roberto Provenzano.
Roberto Provenzano, il muratore 37enne originario di Catanzaro, fu ucciso con un colpo di pistola alla testa nella notte del 29 maggio 2005 nella sua abitazione a Ponte Felcino, a Perugia. Il caso si era riaperto nel 2015 dopo la maxi inchiesta dei Ros, coordinata dalla procura distrettuale Antimafia di Perugia e aveva portato anche all’arresto di sei persone.
Affatato era stato raggiunto dalla misura cautelare notificata il 14 gennaio 2015 e revocata l’8 settembre 2015. La Corte d’appello e quella di Cassazione hanno ritenuto che l’uomo non avesse diritto alla riparazione in quanto “la misura cautelare non è mai stata concretamente eseguita e Affatato è stato privato della libertà personale in esecuzione di sentenze definitive di condanna”.
Secondo i giudici “quando gli fu notificata l'ordinanza custodiale, Affatato era affidato in prova al servizio sociale per l'esecuzione di una condanna definitiva e il Tribunale di Sorveglianza, preso atto di quanto emergeva dall'ordinanza cautelare, revocò l'affidamento in prova”.
Il ricorso è infondato perché solo “il proscioglimento nel merito” rende “ingiusta la detenzione, ancorché disposta in assenza dei presupposti di legge, e ciò rende evidente che l'ingiustizia valutata dal legislatore come meritevole di equo indennizzo è solo quella che comporta una privazione della libertà personale che non trovi ex post concreta giustificazione”. Sempre secondo i giudici “il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l'ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all'esecuzione della pena, purché sussista un errore dell'autorità procedente, e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell'interessato che sia stato concausa dell'errore”.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.