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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Ponte San Giovanni

'Ndrangheta a Perugia, un errore di notifica "blocca il processo" per un imputato

Prossima udienza, davanti al gup Carla Gaingamoni, il 29 febbraio prossimo. Alla sbarra il presunto clan mafioso che voleva mettere le mani su Perugia

Si torna nuovamente in aula per l'inchiesta “Quarto Passo”. Brevissima udienza quella di oggi, durante la quale il giudice delle udienze preliminari Carla Giangamboni ha accolto l'eccezione eccepita dall'avvocato Laura Modena. Il legale ha infatti presentato un'istanza per la mancata notifica dell'avviso di conclusione delle indagine al suo assistito, come previsto dall'articolo 416 bis del codice di procedura penale. A causa dell'alto numero di imputati, 61 in tutto, al legale di uno solo di essi, il legale Modena appunto, non sarebbe arrivato il primo avviso di conclusione d'indagine. Adesso dovrà essere notificato nuovamente prima del termine della fase preliminare. Prossima udienza il 29 febbraio.

L'inchiesta – L'Operazione ribattezzata “Quarto Passo” era riuscita a svelare in che modo le mani della 'Ndrangheta avessero tessuto una stretta rete su tutta la provincia di Perugia, incoronando però il capoluogo umbro quartier generale del clan. Nell'ordinanza apparirono ben 61 nomi diversi. Affiliati, fiancheggiatori e veri e propri boss, secondo l'Accusa, avevano messo radici a Ponte san Giovanni.

Nel particolare, stando alle indagini portate avanti dai carabinieri, un bar  e un ristorante venivano utilizzati come sede del clan umbro legato alle famiglie calabresi della malavita. Era proprio in questi luoghi che si svolgeva la vita del clan: riunioni e accordi, ma non solo. Secondo infatti la Procura il clan si rese responsabile di atti intimidatori nei confronti di commercianti e imprenditori. Ma c'è anche dell'altro. Stando sempre alle indagini, cani uccisi e teste di agnello vennero inviate a coloro che non si volevano sottomettere.

Dopo verifiche più approfondite i carabinieri ammisero che il clan presente a Ponte San Giovanni altro non era che una filiale in Umbria delle famiglie di Cirò e Cirò Marina, anche se molto autonoma e soprattutto formata da persone emigrate in Umbria da almeno 15 anni. Molti furono gli incontri documentati dai carabinieri a Perugia tra il gruppo umbro e i fratelli Vittorio e Vincenzo Farao, figli di Silvio Farao e cugini di Giuseppe Farao, considerati dagli inquirenti i reggenti della cosca. I mafiosi usavano la tecnica del terrore e si presentavano per quello che erano per vincere qualsiasi resistenze:  "Siamo della 'ndrangheta, siamo calabresi". 

I numeri dell'inchiesta - La cosca aveva messo le mani su 39 imprese, 106 immobili, 129 veicoli, 28 contratti assicurativi, oltre 300 rapporti bancari e di credito.

Il capo - Natalino Paletta. E' lui il boss del clan 'ndranghetista istituito a Perugia, ma con forti legami con le famiglie criminali di Cirò. Paletta ha messo in piedi un sodalizio criminale che ha mosso i suoi primi passi, secondo i Ros, sei anni fa proprio a Perugia e aveva iniziato a prendere possesso anche in provincia di Perugia. Gli arresti contro le infiltrazioni mafiose sono stati eseguiti nelle province di Perugia, Roma, Crotone, Cosenza, Arezzo, Siena, Ancona, Macerata, Viterbo, Caserta, Bologna e Varese, nonché in Germania.

Il tribunale del Riesame – Lo scorso 28 gennaio il tribunale del Riesame aveva disposto la scarcerazione per dieci degli imputati rimasti coinvolti nell'inchiesta Quarto Passo, nonostante il pm Duchini avesse chiesto una proroga della misura cautelare carceraria per una più approfondita indagine sulle prove raccolte. Il tribunale del Riesame, presieduto dal presidente Narducci, ha però accolto la richiesta dei legali. Secondo le difese, infatti, le prove di interesse della Procura potevano essere già analizzate mesi orsono. Tra queste vi sono i tabulati e le trascrizioni che permisero alla Procura di Perugia di accendere i riflettori su un clan di stampo 'ndranghetista ben radicato a Ponte San Giovanni e composto da 61 persone. Ad essere ancora in carcere erano rimasti coloro accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, poiché gli altri considerati “collaboratori”.

I legali – Gli imputati sono difesi da Antonio Cozza, Claudia Orsini, Daniela Paccoi, Laura Modena, Silvia Egidi, Alessandro Ricci, Marco Baldassarri, Cristina Zinci, Donatella Panzorola.



 

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