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Cronaca

Rivoluzionaria scoperta, il centro di Ematologia perugino scopre la "pasticca anti-leucemia"

La causa di questo tipo di leucemia era rimasta ignota per più di 50 anni, fino a quando nel 2011 i professori Falini e Tiacci ne hanno scoperto la causa, identificandola nella mutazione del gene BRAF

Si chiama vemurafenib il nuovo farmaco contro la leucemia a cellule capellute che, per la prima volta al mondo, è stato sperimentato con successo a Perugia in pazienti che non rispondevano più alla chemioterapia convenzionale. Lo studio, coordinato dal prof. Brunangelo Falini, Direttore della Struttura Complessa di Ematologia con Trapianto di Midollo Osseo, è stato pubblicato oggi, giovedì 29 ottobre 2015, dalla più influente rivista scientifica in assoluto, il New England Journal of Medicine. 

Questo importante risultato è stato ottenuto anche grazie al supporto economico dell'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro, nonché grazie al prestigioso finanziamento che l'European Research Council (ERC) ha concesso al prof. Enrico Tiacci - primo autore del lavoro –, per mettere a punto nuove cure contro la leucemia a cellule capellute.                                                                                                                                                        

La causa di questo tipo di leucemia era rimasta ignota per più di 50 anni, fino a quando nel 2011 i medesimi Falini e Tiacci ne hanno scoperto la causa, identificandola nella mutazione del gene BRAF. Oggi, dopo solo 4 anni, i medici perugini hanno realizzato il passo successivo, il più importante per i pazienti, cioè la sperimentazione di un farmaco "intelligente" (il vemurafenib, appunto) che blocca solo il gene BRAF mutato e che, semplicemente preso per bocca, uccide selettivamente le cellule leucemiche, risparmiando quelle normali.

Questa è una differenza di enorme rilievo rispetto alla chemioterapia convenzionale che, invece, uccide indistintamente tutte le cellule, provocando effetti tossici collaterali. Il farmaco sperimentato dai ricercatori perugini, al contrario, si è rivelato poco tossico e molto attivo in quasi tutti i pazienti trattati, nonostante fossero diventati refrattari alle terapie convenzionali. 

“Scoprire la causa di una malattia e tradurla in una nuova terapia – sottolineano Falini e Tiacci - non solo è la missione del medico ricercatore, ma rappresenta anche la realizzazione della moderna ‘medicina di precisione’ che caratterizza e colpisce i punti deboli specifici di ogni particolare tumore in ogni particolare paziente”.  

 

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