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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

LA LETTERA APERTA "Perugia è multietnica: per una vera integrazione dobbiamo comprendere che le loro radici sono anche nostre radici"

Il radicale Mario Albi ha inviato una lettera aperta al sindaco Romizi e all'assessore Varasano per aprire una discussione sulla vera integrazione da attuare a Perugia

Riceviamo e pubblichiamo tramite i Radicali di Perugia una riflessione sull'integrazione delle tante famiglie non originarie di Perugia ma che hanno scelto la città umbra per vivere e lavorare. Una riflessione rivolta, dall'autore, al sindaco e all'assessore alla cultura, ma che noi rigiriamo anche ai nostri lettori e ai perugini. Una formula di integrazione senza dubbio molto, moltissima allargata al confronto su quali radici bisogna puntare. Per Albi è necessario studiare ed esaltare la storia e i valori dei diversi popoli oggi in mezzo a noi. Piuttosto che far assimilare i valori, la cultura e la storia del luogo scelto dove vivere. Buona Lettura. E come sempre il nostro lettore si farà la sua libera e legittima opinione a riguardo di questa riflessione su immigrazione e integrazione. 

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GLI INVISIBILI di Mario Albi 

Vivo in un quartiere multietnico: Madonna Alta. Incontro ogni giorno nei supermercati, alle poste, al bar, sugli autobus, nei parchi, davanti alle scuole, adulti, bambini, famiglie di altre etnie che lavorano, studiano, consumano: una parte rilevante e sempre più importante della comunità cittadina.

Eppure, anche se il loro apporto all’economia della Città, al suo corretto funzionamento è fondamentale non solo nel settore dell’assistenza familiare, ma anche dei servizi, dell’edilizia, della distribuzione, grazie anche ad una miriade di piccole imprese artigianali a cui hanno dato vita, sono vissuti da parte della politica e delle Istituzioni come “invisibili”, se non peggio: serbatoio della microcriminalità, “prosciugatori” delle risorse destinate all’assistenza sociale.

Nella nostra realtà l’unico modello di integrazione a cui sembra fare riferimento la gran parte delle forze politiche, sociali, culturali, è quello che prevede l’accettazione sic et simpliciter del nostro punto di vista, l’assimilazione alla nostra visione del mondo, come se fosse l’unica possibile, come se i principi Costituzionali non fossero a tutela anche del punto di vista degli altri.

Invece di fare della diversità una ricchezza, invece di creare occasioni di incontro e di conoscenza delle rispettive culture, di far crescere la consapevolezza che la storia della Città è la somma delle storie di tutti quelli che la abitano, e che senza l’apporto delle loro storie ci sarebbe solo la stagnazione culturale, si preferisce guardare al futuro con la testa rivolta al passato.

Perugia 1416 in questo senso è emblematica. Mi domando: quando un/a bambino/a cinese, tunisino/a, filippino/a, peruviano/a …, che costituiscono tanta parte delle nostre comunità scolastiche, chiederà ai suoi genitori: quali sono le nostre radici? Chi erano i nostri antenati? che cosa si sentirà rispondere? Braccio Fortebraccio da Montone? O non invece la storia dei fatti e dei personaggi emblematici delle terre di provenienza?

Certo: noi abbiamo la “nostra” storia, ma la città non è solo nostra, è di tutti quelli che la abitano, e le loro radici sono anche nostre radici.

Una visione culturale non miope, preveggente, dovrebbe porsi il problema di rappresentare tutte le storie, di raccontarle e farle vivere come elemento di comune ricchezza, cosciente che l’albero della convivenza diviene più forte, che cresce più rigoglioso, se non si negano o peggio si amputano le radici.

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