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Cronaca

Il Comune di Perugia fa la cosa giusta e salva dal gelo la Fonte Tezia

Il Comune di Perugia fa la cosa giusta e interrompe l’erogazione dell’acqua alla Fonte Tezia. Lo scopo è quello di salvare la vasca e gli erogatori dai danni provocati dal gelo. Ghiaccio soltanto per quattro dita sul fondo della vasca di recente restauro: è gelato solo quel poco d’acqua, frutto delle precipitazioni dei giorni scorsi. Qualche riflessione storica sul recente ripristino, effettuato a regola d’arte dallo staff del noto restauratore Adamo Scaleggi.

Niente a che vedere con monte Tezio, o con la dea Teti, come ipotizza qualche estemporaneo. Il nome della storica fonte, appoggiata al torrione di sinistra dell’Arco Etrusco viene dal fatto che fu realizzata (o risistemata), nel 1621, dal conte Girolamo Tezii. È alimentata dall’acqua in caduta dal Pozzo Campana, pochi metri sopra, nell’antico ghetto ebraico.

Sullo stato di salute dell’antico manufatto, Scaleggi, all’epoca, ci disse: “Le pietre non stanno su, si sbriciolano, e la vasca è frantumata, traballante, scardinata. Facciamo iniezioni di resina e riadesione, operiamo sui blocchi dissestati, in quanto malamente stuccati anni fa”. Si sa, infatti, che il cemento è acido e corrosivo, fa più danni della grandine: sgretolando, anziché facendo aderire.

Poi c’è la questione delle bocche di leone per l’uscita dell’acqua: non sono in bronzo, come ci si sarebbe aspettati. Dev’essere che anche allora erano in spending review e hanno dovuto realizzarle in ferro. D’altra parte, anche i romani si limitarono a “rubricare” (tingere con vernice rossa) le lettere di “Augusta Perusia”, anziché piantarle in bronzo perenne! Ieri come oggi: pecunia deficit! San Brunello, grazie del miracolo!

Sta di fatto che, ai primi del 1900, sui musi di leone hanno spalmato ben due mani di vernici: una grigia e una nera. E i restauratori le hanno riportate a ferro naturale, peraltro bellissimo. Altra importante scoperta: nel riquadro in pietra soprastante la vasca dovevano essere fissati ben tre stemmi, poi asportati. Questi già non compaiono in una stampa, datata 1830, ma i supporti non li hanno smurati: sono ancora lì. Non ci sarebbe nulla di azzardato nell’ipotizzare che si trattasse delle insegne del cardinale Marino Grimani, il legato pontificio col merito di aver fatto colmare il fossato e realizzare la piazza che i perugini continuano a chiamare col suo nome.

Chi fu a togliere quegli stemmi lapidei (rotti, trafugati)? Probabilmente i seguaci di Napoleone, anticlericali inossidabili, che intendevano rimuovere le tracce del dominio pontificio. Altra icona da decifrare, i bastoni nodosi dei capitellini: simbolo araldico o metafora della rustica combattività perugina, particolarmente congrua con Porta Sant’Angelo, rione nativo di Braccio. Che significano? Sta di fatto che il bastone nodoso ricorre anche nella iconografia identitaria di Porta S. Angelo. Oggi, la Fonte Tezia è a posto. Meglio qualche accorgimento in più. Ha resistito per 400 anni, ne reggerà di certo altrettanti. E non sarà un problema nostro!

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