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Cronaca

IL CASO Villa Lefèbvre, Compresso. Quella chiesetta è stata spogliata di tutto, depredata...

I malviventi hanno tentato perfino di staccare – con un cacciavite o uno scalpello – il rivestimento interno del Ciborio in semplice metallo dorato

Villa Lefèbvre, Compresso, anche la chiesetta è stata spogliata di tutto, depredata, ridotta all’ecce homo. Nulla è rimasto dell’antica dignità, documentata dai restauri che si dipanano negli anni: dal primo del 1856, all’ultimo, del dicembre 1973. Niente più arredi e cose sacre. Neppure il Tabernacolo si è salvato: sopra quel povero altare, privato dello sportellino che doveva essere rivestito d’argento. I malviventi hanno tentato perfino di staccare – con un cacciavite o uno scalpello – il rivestimento interno del Ciborio in semplice metallo dorato: giace storto e rigonfio sopra l’altare.

Non si è salvato niente, se non due acquasantiere in granito rosso, murate all’ingresso esterno e in quello comunicante con la villa mediante un lungo corridoio. Corre in alto una Via Crucis seriale novecentesca in metallo: non l’hanno presa perché non vale nulla. Il fonte battesimale è stato orrendamente usato a mo’ di lavello (mediante l’applicazione di un rubinetto). Forse già quando la chiesa era ancora consacrata? Horribile visu! Niente più candelabri, trasformati forse in stelo per lampade, in mostra dentro qualche casa di parvenu. Solo un candelabro di latta rugginosa sopra l’altare su simulacri di lumini. Un inginocchiatoio scassato in fondo alla chiesa.

Villa Lefèbvre, Compresso: tra degradi e furti

Nicchie prive di statue, se non quella a sinistra, in vilissimo gesso, rappresentante un San Giuseppe scrostato con ai piedi misere statuine di coccio sbeccato di un vecchio presepe. Un’altra statua di santo col Bambino l’hanno portata lontano, buttata sulla carcassa di un letto rugginoso, su un materasso sudicio, con sopra un elenco telefonico accartocciato. Quasi una beffa, un sacrilegio. Sedie accatastate: nessuno le ha volute. Queste, almeno. Vigila su questo disastro l’‘occhio’ della chiesa, un mosaico circolare, legato in piombo, con una vetrata effigiante un Gesù col sacro cuore: un Cristo che sembra osservare dall’alto le miserie degli uomini.

Sopra l’altare in finto marmorizzato un’immagine cartacea accartocciata della Madonna delle Grazie di Bartolo di Giannicola, la stessa che è effigiata nella colonna dentro la chiesa Cattedrale di San Lorenzo, nell’acropoli. Un vaso di vetro con tristi fiori di plastica. Sopra l’altare ciò che resta di quello che appare come un affresco distaccato. Una signora che abita di fronte ci dice con tristezza: “Un tempo era carina. In quella chiesetta mi sono sposata”.

Una lapide in villa ricorda che qui soggiornò il vescovo di Perugia Gioacchino Pecci, poi Papa Leone XIII, per ben otto giorni, nel settembre 1862: la famiglia belga Levèbvre di Tournai volle apporre la lapide, a memoria dell’evento, nell’anno del giubileo sacerdotale del pontefice. Mentre in chiesa una lapide in granito rosso ricorda che, qualche anno prima di questa illustre visita, nel 1856, il luogo era stato “Restauratum ad maiorem Gloriam Immaculatae Conceptionis”. Dentro la chiesetta una lapide porta la scritta: “A.D. MCMIV. Ludovicus et Camilla Levebvre, in honorem eiusdem Beatae Virginis, sine labe conceptae, iterum ex integro restaurarunt et in novam elegantiorem formam redegerunt”. A dire che, nel 1904, Ludovico e Camilla, nuovi proprietari, intesero restaurare e rinnovare la chiesa restituendole bellezza e dignità “in onore della Beata Vergine, concepita senza peccato”.

Successivamente qualche altro piccolo intervento (nel 1973), fino all’abbandono degli ultimi decenni, dopo la chiusura della scuola per poliomielitici. Ora è tutto in degrado. A testimonianza della completa incuria, del vandalismo, dell’incommensurabile ferocia degli uomini. Che non hanno perduto solo i valori della fede. Ma hanno perfino smarrito se stessi. Rinunciando irrimediabilmente a cercare la propria ragion d’essere. Che c’è sempre. Ma sta celata “in interiore homine”. Occorre solo cercarla. E avere la forza di farlo.
 

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