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Cronaca

L'INTERVISTA I primi cinquant’anni di professione forense di Giampiero Mirabassi: "Tutto iniziò con un sonoro schiaffone"

"A tutto pensavo, meno che alla libera professione”: il racconto di una lunga carriera di un avvocato con la passione della scrittura

I primi cinquant’anni di professione di Giampiero Mirabassi. Intervista a cuore aperto con l’avvocato-musicista-poeta-scrittore nella lingua del Grifo. Giampiero, come è iniziato il tuo percorso professionale? Intendo quello di avvocato. “Tutto è cominciato con uno schiaffo”.

Cioè?
“Si dice “unusquisque faber fortunae suae” (‘ciascuno è artefice del proprio destino’), il che presuppone che la propria vita e la propria carriera siano saggiamente previste e progettate. Io sono invece l’incarnazione del detto opposto: ‘La vita è quello che accade… mentre stai facendo altri progetti’”.

Facci capire.
“Appena laureato, mi ero licenziato dalla ditta in cui lavoravo, per contrasti con il titolare (che, anni dopo, sarebbe diventato un importante cliente e amico ) e cercavo lavoro. A tutto pensavo, meno che alla libera professione”.
Poi che accadde?
“Proprio allora, un mio parente, nel contesto di una lite familiare, ammollò un sonoro schiaffone al genero, che lo querelò. E mi chiese: ‘Per favore, mi vai a parlare con questo cavolo di avvocato, per comporre la questione?’. Andai, conobbi l’avvocato Lucio Annibali e uscii dal suo studio con in tasca l’auspicato accordo. Ma anche con la proposta di fare pratica legale presso il suo studio, se per caso fossi stato interessato”.

Allora andasti a fare il tirocinio?
“Esattamente. Compiuto il periodo di pratica e superato l’esame di abilitazione alla professione, mi iscrissi all’Albo. All’epoca, eravamo in pochi: non più di 140, tra avvocati e procuratori. Era ancora considerato un mestiere da uomini e le donne erano abbastanza rare. E poi c’era un filtro, costituito dal fatto che per iscriversi alla facoltà di giurisprudenza era valida la sola maturità classica”.

Oggi la situazione è un po’ diversa, dal punto di vista professionale, vero? “Oggi all’albo di Perugia sono iscritti forse più di tremila avvocati, con una maggioranza di agguerrite colleghe. Lo dico senza ombra di polemica, anche perché, se sono giunto a questo importante traguardo professionale, lo devo principalmente ad una donna, l’avvocato Susanna Bianchi, insieme alla quale abbiamo finito per costituire, da tempo, uno studio associato”.

Come nacque questo robusto sodalizio?
“Susanna è stata la mia unica praticante: avevo bisogno di qualcuno che mi desse una mano e un conoscente me la segnalò”.

Tutto filò liscio?
“Misi subito in chiaro con lei che non ero in grado di offrirle una panoramica completa della professione, in tutte le sue articolazioni. Difatti in quel periodo mi occupavo prevalentemente di pubblico impiego nel campo scolastico. ‘Per darle un’idea – precisai – se fossi un medico, sarei un otorino specializzato nella narice sinistra del naso’. Ma lei non si scoraggiò e rimase”.

Ormai siete una coppia indivisibile! “In effetti è così e, a distanza di 36 anni da quell’incontro, Susanna è ancora in piena carriera ed esercita con me la professione e ad ampio raggio. (O sono io che ora la esercito con lei? This is the question!)”.
Andate d’accordo su tutto?
“Si potrebbe pensare che tra noi ci sia chissà quale affinità personale e professionale. E invece no, questo è il bello: tanto per contraddire ogni aspettativa, non abbiamo quasi nulla in comune”.

Allora, in cosa divergete?
“Intanto il gap generazionale, una diversità di opinioni politiche e una difforme visione del mondo (io ho qualche residua calcificazione di maschilismo). Sono diversi pure i metodi di lavoro, diverse le capacità di utilizzare le procedure informatiche (le mie sono a livello del selvaggio davanti a un totem bizzoso e imperscrutabile). Poi la diversità di carattere: io sono un posa-piano, mentre lei è un cavo elettrico, è multitasking, dinamica, competitiva, capace di immedesimarsi emotivamente nei problemi dei clienti, sposandone le ragioni”.

Tu, invece?
“Io sono un po’ come una sedia della novella di Pirandello in “L’uomo dal fiore in bocca”: ora mi occupa questo, ora quello, ma non mi faccio coinvolgere più di tanto, un po' per conservare una certa obbiettività, ma molto per autodifesa”.

Come ti comporti col cliente?
“Quando telefona qualcuno, accade di sentirmi dire ‘Avvoca’ sono disperato!’. Io del problema mi faccio carico, ma le ansie e le paure le lascio al cliente, o almeno cerco di farlo. Spesso invece Susanna le condivide, si mette nei panni dell’altro. Questo la ripaga sul piano della riconoscenza e della affezione del suo interlocutore. Ma non capisco ancora come faccia”.

In conclusione, un matrimonio professionale riuscito!
“A farla breve, è proprio la consapevolezza delle rispettive diversità che ci fa da cemento: un collante dialettico, con momenti di vero e proprio bisticcio, ma vissuto come una singolare opportunità. Perché il sodalizio, ormai lungamente collaudato, funziona, senza che uno prevalga sull’altro”.

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