Palazzina Ferrovia ora Casa degli Artisti, parla chi ci ha vissuto 30 anni: "Un posto speciale che la politica e il minimetrò trasformò in degrado"
Riceviamo e Pubblichiamo dalla famiglia Benedetti una nota che spiega l'evoluzione della palazzina della ferrovia dove hanno vissuto come famiglia per lungo e tempo e che lo stesso capofamilia, essendo un geometra delle Fs, aveva progettato la struttura a metà degli anni ottanta. Il ricordo di un luogo sano e sicuro al degrado più totale ora sanato dal progetto la Casa degli Artisti. Ecco la storia di una famiglia.
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Quella non è la casa della disperazione e della vergogna. Quei due appellativi sono da riferire, invece, all’affarismo e al menefreghismo politico della Perugia dei primi anni del nuovo millennio. Vi scrivo perché, avendo vissuto in quella casa per trent’anni, mi ha dato fastidio vederla ricordare con questi due aggettivi. Quella casa, invece, era l’esempio più bello di vita all’interno di quel quartiere. Era stata progettata, a metà degli anni ottanta, da mio padre Ferdinando Benedetti che faceva il geometra delle ferrovie e che, una volta ultimata, decise di farci trasferire la sua famiglia.
La casa era composta da due appartamenti. Quello al primo piano occupato, appunto, dalla famiglia Benedetti, e quello al secondo dalla famiglia Fedeli; e, insieme, abbiamo vissuto al suo interno tante emozioni: belle e brutte; tra cui, la più triste, nel 1996 con la scomparsa della mia amica d’infanzia, Barbara, figlia dei Fedeli. Ma sarà stata la gioia e l’esempio di vita che Barbara ci ha sempre dato che, negli anni seguenti, quella casa si è trasformata nella casa dell’accoglienza, della gioia e dell’amicizia. Quelle mura hanno visto passare così tanta gente che, in giro, non puoi non trovare una persona che non abbia un bel ricordo condiviso all’interno di quel edificio. Vi sono passati amici, conoscenti, colleghi, persone che, quando venivano a trovarci, si sentivano in famiglia: figli di Ferdinando, "Nino" per tutti, e Loredana che, a quei tempi, per tutti era “La Rosha”, ovvero, una seconda madre.
Per anni ci sono state tante feste, tante serate passate a parlare e scherzare fino a tarda sera e tanta gente che andava e tornava; non c’è stato un giorno che qualcuno non venisse a frequentare quella casa: vi sono passate campionesse del mondo di pallavolo come “Tay” Aguero, Elisa Togut e Simona Rinieri, campioni di calcio a 5 come Rafael Alemao finché, appunto, il gioco della politica decise di fregarsi degli abitanti di quella casa solo per fare i loro interessi. Quel luogo era il nostro posto magico, tant’è che volevamo comprarla quella casa che avevamo avuto in affitto dalle ferrovie; e le trattative erano a buon punto finché… Finché il comune decise che si doveva costruire il Minimetrò a qualsiasi costo e, il costo per noi, fu quello che le trattative vennero bloccate poiché poteva costituire un problema per ottenere i permessi per costruire il gigantesco brucomela.
Per qualche anno, lo stesso, provammo a stringere i denti e a vivere lì: nonostante un errore nella costruzione del Minimetrò che creava un fastidioso rumore ad ogni passaggio di carrozza, nonostante il continuo rumore del motore che rilanciava le stesse carrozze e nonostante una – guarda il caso - strana decisione della commissione voluta dal comune che impostò i limiti di rumore a proprio piacimento fregandosi del fastidio che creava. Con quella fastidiosissima costruzione, naturalmente, le visite diminuirono, ma i valori di amicizia e accoglienza non mancarono mai in quella casa tant’è che, quando mio fratello decise di trasferirsi nel 2008, la sua camera rimase a disposizione per tutti i nostri amici che avevano bisogno di un momentaneo appoggio in città.
L’anno dopo venne a mancare anche mio padre Ferdinando e, quella casa, si strinse ancor più forte in se stessa. Continuò a essere frequentata per qualche anno dagli amici più stretti finché, nel 2012, decidemmo di abbandonare anche noi quella casa che ha rappresentato la nostra vita. I rumori del Minimetrò erano diventati ancor più forti con l’usura e, le sue vibrazioni, avevano creato una serie di problemi alla struttura della casa e allora, quella che era conosciuta come la casa dell’amicizia, della gioia e dell’accoglienza, grazie all’affarismo politico, divenne la “casa dei disperati”. Adesso, dieci anni dopo il mio trasferimento, finalmente vedo che è stata ristrutturata.
Naturalmente non ci sta paragone tra la bellezza di come era in passato rispetto a come è adesso, ma una cosa mi piacerebbe veramente che accadesse. Che quella moderna costruzione, oltre a diventare la casa degli artisti, prendesse il nome di colui che la progettò, ovvero mio padre, e che diventasse la “Palazzina Ferdinando Benedetti” essendo anche lui un’amante dell’arte e un pittore a tempo perso. E mi piacerebbe anche che venisse ricordata per quello che è stata e, per questo, sto scrivendo alcune pagine che mi piacerebbe regalare e mettere in bella mostra all’interno della nuova infrastruttura, per raccontare tutto ciò che è accaduto lì dentro in trent’anni, in modo da dare un esempio per quello che, sperò, sarà il suo futuro.