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Cronaca

Errore durante la biopsia, tolta la prostata a paziente sano: medico condannato

Per la Corte d'appello di Perugia si tratta di lesioni personali gravissime: "Non è una giustificazione il carico di lavoro eccessivo"

Il medico che sbaglia durante un esame diagnostico e da questo deriva un errore in sala chirurgica, risponde del delitto di lesioni personali gravissime in ambito sanitario.

Lo ha stabilito la Corte d’appello di Perugia nei confronti di un medico che, “nell’effettuare la diagnosi a seguito di biopsia, non si accorga per negligenza della non corrispondenza del numero riportato sui fogli di lavoro con quello dei vetrini da analizzare e, pertanto, attribuisca la diagnosi di un adenocarcinoma ad un paziente anziché ad un altro e sottoponga costui ad intervento chirurgico non dovuto cagionandogli lesioni personali gravissime derivate dall’asportazione dell’organo prostatico e della conseguente perdita della capacità di procreare”.

Secondo i giudici di appello “la condotta del medico refertatore era consistita nell’aver omesso per colpa di effettuare la verifica della corrispondenza tra il numero apposto ai vetrini e quello del foglio di lavorazione, condotta questa connotata da colpa in quanto un qualunque medico specialista, provvisto di normale diligenza, avrebbe potuto avvedersi della non corretta associazione”.

In appello è stata confermata la condanna a 2 anni e ad un risarcimento da stabilire in sede civile.

Non è stata ritenuta una giustificazione “la mancanza di apparecchiature di identificazione in linea con i più moderni standard o le particolari condizioni di lavoro particolarmente faticose in quella giornata, circostanze queste che al contrario richiedevano una maggiore attenzione e approfondimento riguardo ai campioni biologici pervenuti in laboratorio. Infine, non poteva altresì essere invocato il principio di affidamento nelle capacità e correttezza di tutti i collaboratori dell’equipe i quali avevano preparato e allestito i vetrini, considerato che il principio di affidamento non esclude l’esistenza di obblighi di diligenza in capo ad ogni operatore sanitario e dunque anche in capo al medico refertatore nello svolgimento delle proprie mansioni”.

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