Pericolosità sociale e nessun segno di pentimento, niente domiciliari per il custode della droga
L'indagato, arrestato per aver custodito 3 chili di droga, aveva chiesto di uscire dal carcere e scontare la detenzione presso degli zii, ma per i giudici è troppo pericoloso
“I miei zii sono disposti a tenermi a casa loro agli arresti domiciliari”, ma per il giudice il soggetto che ha avanzato la richiesta di misura alternativa alla detenzione in carcere è pericoloso. Della stessa opinione i giudici di Cassazione che hanno respinto il ricorso contro il diniego dei domiciliari emesso dal giudice per le indagini preliminari di Perugia.
Il ricorrente, un albanese di 24 anni, è finito in carcere con l’accusa di essere il custode della droga per conto di un gruppo criminale di trafficanti e spacciatori di stupefacenti su Perugia.
L’uomo ha chiesto la “sostituzione della custodia carcere con gli arresti domiciliari, con dispositivo di controllo elettronico, presso l'abitazione degli zii”. Il gip di Perugia ha negato tale concessione e l’indagato ha fatto ricorso per Cassazione, sostenendo che il giudice non aveva “tenuto in adeguato conto alcuni elementi fondamentali, quali l’incensuratezza e la giovane età dell’indagato, nonché la disponibilità degli zii ad ospitarlo nella propria abitazione sita in un Comune diverso da quello in cui il reato - detenzione illecita di stupefacenti - era stato accertato”.
Secondo la Cassazione, però, sono emersi “elementi della condotta delittuosa dai quali desumere l’esistenza di consolidati legami con ambienti criminali dotati di un adeguato spessore, nonché della pericolosità e capacità delinquenziale mostrata dal ricorrente, nonostante la sua giovane età”, in particolare “è stato sottolineato come il compito di custodire un quantitativo rilevante di stupefacente (oltre 3 chilogrammi) è elemento di per sé incompatibile con una valutazione positiva in ordine all'idoneità della misura cautelare degli arresti domiciliari, anche in considerazione del breve periodo di detenzione in carcere subito”.
A nulla serve “la disponibilità dei familiari del ricorrente di ospitarlo presso la propria abitazione, nonché quelle relative all'inserimento in contesti lavorativi stabili e leciti di questi ultimi” oltre all’affidabilità dei familiari che non hanno precedenti di alcun tipo. Elementi che non consentono “di incidere sulla valutazione in ordine all’adeguatezza degli arresti domiciliari in relazione al pericolo di reiterazione del reato, non potendosi certamente pretendere una funzione di ‘vigilanza’ in capo ai familiari dell’indagato”.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna alle spese processuali.