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Cronaca

Dossier Caritas immigrati 2012 in Umbria: solo la metà ha un lavoro

Dal dossier della Caritas sull'immigrazione in Umbria nel 2012, curato da Stella Cerasa, emerge che l'occupazione è in sensibile calo, mentre aumentano le persone espulse

Apre menzionando il Rapporto 2012 della Banca d’Italia, intitolato Economie regionali. L’economia dell’Umbria, e i dati Inail, il capitolo sull'immigrazione in Umbria del 22° Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes curato da Stella Cerasa, vice direttore della Caritas diocesana di Perugia-Città della Pieve e membro della Redazione regionale del Dossier.

Immigrati e lavoro- Questo rileva che la presenza degli immigrati in Umbria è legata soprattutto al lavoro, quindi al contesto economico. Dei circa 101 mila cittadini immigrati regolari presenti in Umbria al 31 dicembre 2011 stimati dal Dossier attraverso una metodologia rigorosa consolidatasi nel corso degli anni, risultavano occupati 54.331, dei quali 42.320 nella provincia di Perugia e i restanti 12.011 in quella di Terni.

Aumentate le espulsioni- Il Dossier si sofferma molto sull’occupazione, in sensibile calo, e sulle difficili condizioni socio-economiche che ne conseguono rilevando che dal mercato del lavoro sono state espulse più persone di quante ne sono state assorbite. Infatti il saldo occupazionale, vale a dire la differenza tra assunti e cessati, è stato negativo in entrambe le province sia per gli italiani che per i nati all’estero. Per quanto riguarda questi ultimi, nel 2011 a Perugia il saldo occupazionale è risultato negativo di 1.381 unità (una cifra pari al 21,4% del saldo complessivo provinciale), mentre a Terni il saldo immigrato negativo è stato più contenuto (200 unità, corrispondenti all’8,6% del dato globale provinciale).

La difficoltà di trovare il lavoro e il rimpatrio- Ai dati dei diversi istituti di ricerca si affiancano le informazioni registrate nei Centri d’ascolto delle Caritas diocesane e parrocchiali della regione. "La difficoltà di trovare un lavoro – scrive Stella Cerasa – induce molti cittadini stranieri a scegliere la via del rimpatrio. È oramai da più di tre anni che il lavoro viene a mancare, ma è dall’inizio del 2011 che tutto si è complicato.

Sempre più spesso, per ogni famiglia composta da stranieri ad un disoccupato se ne aggiunge un altro, aggravando ulteriormente le già difficili condizioni economiche. Per quanto risulti sempre più frequente la scelta del rimpatrio, per tale progetto sono necessarie risorse ingenti e bisogna mettere in conto diverse difficoltà da affrontare in patria al momento del rientro. Molte famiglie chiedono un aiuto economico ai Centri d’ascolto Caritas con un certo anticipo, proprio perché sono consapevoli dei costi elevati che dovranno affrontare. E sempre più difficile appare la situazione per gli stranieri che intendono comunque rimanere in Italia".

Non si rinnova il permesso di soggiorno: spopola l'irregolarità- Tra le difficoltà economiche vissute dagli immigrati si va ad aggiungere quella delle  nuove tariffe che i lavoratori stranieri devono pagare per il rinnovo del permesso di soggiorno elettronico, divenendo più facile per loro “sconfinare” nella irregolarità. "Tra le fila degli irregolari – sottolinea Stella Cerasa – sono sempre più numerosi anche in Umbria coloro che originariamente erano in regola con il titolo di soggiorno e che, a seguito della perdita del lavoro e a causa delle conseguenti difficoltà economiche, hanno preferito “sparire” nell’ombra dell’irregolarità".

Diminuisce la richiesta di badanti- Altro dato significativo che emerge in Umbria, sempre a causa della crisi economica, è "una forte contrazione delle offerte di lavoro per la cura di anziani, malati e bambini: l’accentuarsi della crisi economica e la presenza di disoccupati in molte famiglie italiane fa in modo che la presa in carico della persona da aiutare avvenga all’interno dello stesso nucleo familiare. In qualche modo la crisi si sta rivelando un’opportunità per ripensare a un modello familiare diverso e più inclusivo". Inoltre, "È impressionante l’aumento del fenomeno delle badanti che si ammalano o affrontano ricoveri ospedalieri venendo subito dopo licenziate: dall’ospedale non possono essere dimesse perché non hanno più un luogo dove andare. Nelle strutture d’accoglienza della rete ecclesiale si registra una continua richiesta legata a tali situazioni».

I minori vengono "ritirati dalle scuole"- Altro aspetto che prende in esame il Dossier sono le difficoltà che incontrano i minori figli di immigrati. "L’aggravarsi della crisi economica – sottolinea Cerasa – fa emergere come l’anello debole del progetto migratorio siano proprio i minori. Spesso, infatti, in conseguenza della perdita del lavoro di uno o di entrambi i genitori vengono “ritirati” da scuola e rimpatriati.

Alcuni sono magari arrivati da pochi anni attraverso i ricongiungimenti familiari e sono costretti a traumi ulteriori con un rientro repentino. Le difficoltà economiche crescenti mettono sempre più in crisi l’unità familiare e sono in aumento le donne che sono costrette a lasciare l’abitazione con i propri figli ed è sempre più difficile anche per le Caritas diocesane dare una risposta a queste necessità.

La cura dei figli è poi per le madri il vero dramma: trovare un lavoro è più che mai impossibile e, quando si trova, a volte gli orari non coincidono con quelli della scuola o dell’asilo. Il rimpatrio, esperienza alla quale si sta facendo sempre più ricorso, è considerato comunque un evento doloroso, poiché ciò che si guadagna in Italia viene spedito a casa per mantenere altri familiari e non per crearsi positive possibilità di rientro per se stessi".

Situazione profughi Nord Africa- Il Dossier regionale si conclude con un aggiornamento della situazione dei profughi giunti dal Nord Africa, accolti in Umbria dalla primavera 2011, ricordando che le persone ospitate dopo lo scoppio della guerra in Libia sono state 289, di cui 64 donne; 116 sono state accolte dalle otto Caritas diocesane umbre.

Le nazionalità coinvolte, in ordine per numerosità, sono: quelle nigeriana, bangladese, ivoriana, pakistana, del Burkina Faso ed egiziana. Al momento del loro arrivo hanno fatto tutti richiesta dello status di rifugiato politico, ma - dopo un anno, in cui sono stati tutti ascoltati dalle Commissioni territoriali - a pochi è stato riconosciuto. In particolare, lo status è stato concesso solo a coloro che appartenevano a un Paese con un conflitto in atto, essendosi valutato che la fuga dalla Libia non costituiva di per sé un motivo valido per il riconoscimento. Alcuni dei richiedenti hanno tuttavia ottenuto la possibilità di rimanere in Italia con un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Dossier rileva che dopo un anno dall’arrivo dei profughi "emergono vari punti di criticità". Tra questi l’impossibilità di trovare un’occupazione. "Per i primi sei mesi del loro soggiorno in Italia – spiega Stella Cerasa – i richiedenti asilo non hanno potuto lavorare, mentre assai grande era la loro aspettativa in proposito. Il sentimento di frustrazione deriva anche dal fatto che in Libia erano più o meno tutti occupati in lavori anche umili ma con qualche guadagno.

Non è facile stare accanto a queste persone, perché il loro vissuto è spesso doloroso. Ma per chi si occupa di accoglienza si tratta senza dubbio di un’esperienza importante: ogni giorno si possono riequilibrare le nostre certezze e il nostro modo di pensare. È anche doloroso stare accanto ad essi e non sapere quale sarà il loro futuro in Italia; se dopo aver rischiato la vita in mare ci sarà un Paese che li accoglierà. Per ora è stata data loro una speranza che terminerà con un punto interrogativo il prossimo dicembre, con la scadenza del programma di accoglienza della Protezione civile».

Stella Cerasa conclude citando una storia "esemplare", quella di Wabo, proveniente dal Burkina Faso: "ha trovato un lavoro come aiuto cuoco, con un contratto di trentasei mesi come apprendista, ma nessuno può dargli garanzie sul fatto che fra tre anni potrà stare ancora in Italia". Da questa ed altre testimonianze si comprende che gli immigrati non possono essere considerati solo dei «numeri»: sono uomini che sperano, come noi, in un futuro migliore in un Paese dove tutti dovrebbero essere messi nella condizione di realizzarsi socialmente e culturalmente.

 

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