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Cronaca

Corte di conti, assenteismo dal lavoro con i permessi 104: dipendente condannata

Dipendente comunale accusata dalla Procura contabile di aver usufruito di 79 giorni di permesso per assistere un parente disabile, ma non ci sarebbe mai andata

Usufruiva dei permessi sul lavoro in base alla legge 104 per assistere un anziano parente invalido, ma secondo la Procura contabile avrebbe utilizzato quelle ore libera dal lavoro per tutt’altro.

La dipendente di un Comune della provincia di Perugia, difesa dall’avvocato Nicola Di Mario, si è vista contestare dalla Corte dei conti l’utilizzo indebito dei permessi di assistenza per un ammontare di 7.145,12 euro, per un totale di 79 giorni di assenza dal luogo di lavoro.

Secondo la Guardia di finanza, però, la dipendente “non avrebbe prestato l’assistenza richiesta dalla legge” in quanto sulla base di appostamenti e sopralluoghi sarebbero emerse delle divergenze in merito alla presenza della donna nella casa dell’assistito, oltre che dalle dichiarazioni della badante del familiare invalido e dai tabulati telefonici che mettono la dipendente in luoghi diversi rispetto alla casa dove doveva recarsi.

Un comportamento che per la Procura contabile costituirebbe una indebita percezione di somme di denaro non dovute in assenza di regolare svolgimento della prestazione lavorativa per 5.716,10 euro e un danno all’immagine per 1.429,02 euro. Per gli stessi fatti è pendente un procedimento penale.

La difesa ha sostenuto che dagli atti di indagine non si può escludere che la donna “pur non presente nell’abitazione del parente stretto, invalido - stesse comunque destinando la propria attività alle cure del predetto (ad esempio, procurando generi alimentari e medicinali), svolgendo, quindi, incombenze funzionali a soddisfare i bisogni della disabile assistita”.

Secondo i giudici contabili “l’azione risarcitoria pubblicistica attivata dalla Procura regionale è fondata”, ma con una forte diminuzione della volontà truffaldina.

Accogliendo parte delle tesi difensive, i giudici della Corte dei conti hanno ritenuto che pur di fronte ad un utilizzo dei permessi retribuiti in maniera non conforme “alle finalità previste dalla legge”, come provato dagli “accertamenti delle forze di polizia, le dichiarazioni della domestica, l’abituale dimora in luogo diverso da quello della parente malata, i tabulati telefonici forniscono indici gravi, precisi e concordanti idonei ad asseverare le contestazioni mosse dalla Procura regionale”, bisogna considerare che “anche il coniuge della convenuta era malato e bisognoso di assistenza” e che “la badante non aveva coperto l’intero periodo temporale in cui la convenuta aveva percepito i permessi retribuiti, di tal che non può essere escluso che in altri momenti la ... abbia prestato assistenza al domicilio della parente malata”. Come non si può escludere che “la convenuta abbia, nonostante l’assenza del domicilio della predetta, comunque svolto attività strumentali alla cura dell’assistita”.

Da qui discende una decurtazione del danno patrimoniale, quantificato in 2.858,05 euro, mentre il danno all’immagine “non è contestabile alla convenuta in quanto manca la condizione del previo giudicato penale di condanna, atteso che nella specie non si tratta di assenteismo fraudolento, bensì di fruizione di permessi retribuiti in violazione delle previsioni di legge”. La dipendente è stata condannata anche al pagamento delle spese di giudizio, liquidate 138,33 euro.

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