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Cronache dal passato di Marco Saioni | 1898 a Perugia, quella banda di devoti che per fame derubò la Madonnina del Duomo

La Belle Époque era tale per pochi mentre per tutti gli altri la fame e la voglia di riscatto erano ai massimi livelli. Ecco cosa accadde in quell'anno nefasto a Perugia

Non se l’aspettava Palazzetti Adelmo di anni quarantatré. Non in quelle circostanze e sotto casa. La mano che si posa sulla spalla precede l’invito a dichiarare le generalità. L’uomo precipita in un dirupo di emozioni mentre annusa parole ostili. Ad attirare l’occhiuta polizia, pochi carciofi stretti in mano come un mazzo di fiori. Il breve interrogatorio con risposte elusive fu sufficiente a ipotizzarne la “sospetta origine”. Ignoriamo le fasi successive al sequestro dell’ortaggio, di certo sfumò una frittata e prese forma una denuncia.

Anno durissimo però quel 1898, distinto da una fase economica che aveva prodotto notevoli rincari di generi di prima necessità. La crisi azzannava le classi subalterne e in tutto il Paese echeggiava la protesta contro il carovita. Insomma la Belle Époque era tale per pochi. A Milano fu dichiarato lo stato d’assedio e affidata la gestione dell’ordine pubblico al generale Bava Beccaris, uno che mise a punto un curioso modo per appianare i contrasti; schierare i cannoni ad alzo zero e fare fuoco sulla folla inerme. Morirono più di ottanta persone, senza contare le decine di feriti.

A Perugia andò meglio. All’alba del 20 maggio un drappello di gendarmi, con i pennacchi e con le armi, fece irruzione, procedendo allo scioglimento di “circoli sovversivi” noti come Camera del lavoro, Circolo socialista e Federazione repubblicana Antonio Fratti. Solita convocazione in questura per Guglielmo Miliocchi. Approfondite perquisizioni nei locali socialisti approdarono poi a clamorosi risultati consistenti nel sequestro di materiali sediziosi, come certi “quadri allusivi e il busto in creta di Carlo Marx”.

Per quanto sacrosante, le rivendicazioni sociali stentavano nel garantire la certezza di due pasti al giorno, così qualcuno, in realtà, più di qualcuno, s’ingegnò a varcare porte e finestre altrui. Il periodo è infatti caratterizzato da una fitta serie di denunce per furti di ogni genere. Piuttosto noto è quello del Duomo, da cui sparirono reliquie varie e ornamenti preziosi delle statue. Anche quelle raffiguranti Madonna e bambinello, la prima in cera, che forse resistette al tentativo di scippo di un anello, così si presero anche il dito. Dilettanti assoluti, si sentirono poi in dovere di accendere tutte le candele prima di fuggire. Un chiaro gesto che suonava di risarcimento per il peccato commesso. Questo orientò le indagini che condussero inevitabilmente a identificare gli autori, un chierico disoccupato e due coristi del Duomo. Stavolta avevano stonato di brutto.

Quartiere particolarmente bersagliato era quello di Porta San Pietro, i cui residenti esasperati si appellano alla stampa poiché “nel breve volgere di pochi mesi è una sequela incessante di furti audaci e rilevanti, consumati quasi tutti di giorno, di cui ancora la nostra Polizia non ha potuto scoprire un autore”. Ma l’anno successivo si parlerà di una clamorosa retata che avrebbe coinvolto decine di persone. Tra loro, un rigattiere, un sarto, un calzolaio, un imbianchino, un muratore e vari disoccupati. Insomma una combriccola raccogliticcia più che una gang, seppure bollata come associazione per delinquere.

Sotto tiro erano perlopiù le attività commerciali con rivendita di generi alimentari. Esemplare a tale scopo il puntiglioso elenco di un cronista che riferisce l’esito del bottino, consistente in “dodici chili di formaggio, sette fiaschi di vino bianco, due chili di lardo, un chilo di salsicce, due bottiglie di vermouth e un paio di stivaletti usati, da donna.” In realtà si arraffava di tutto, dalla legna al fieno, verdure, legioni di polli, persino bozzoli da seta certamente qualche soldo. Molto apprezzato era il vino. Denunce di osti e privati lamentano spesso sottrazioni di damigiane, spesso intere, ma anche parzialmente svuotate. Del resto, per quelle sorti strampalate era l’unico modo per sballare un po’ e poi non c’era spaccio, solo uso personale.

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