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Cronaca

Umbria, Cassazione sul Crocifisso in aula: il preside non lo può imporre, ma il prof non lo può togliere

"Il simbolo cristiano non discrimina la libertà degli altri, in aula solo se la comunità scuola è d'accordo". Spazio anche ad altri simboli fedi e cercando un'intesa tra tutti

Il crocifisso oltre che simbolo della Cristianità fa parte della cultura e della tradizione italiana e non discrimina nessuno.

La Cassazione lo ha stabilito in una sentenza in cui afferma che ad esso “si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”, ribadendo che “non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione”. La sentenza delle sezioni unite civili della Suprema Corte, depositata oggi, riguardava un ricorso contro l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche deciso dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale di Terni, tenendo conto di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti. A fare ricorso era stato un docente, appunto, che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete.

Secondo la Cassazione l’aula “può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuta e decide in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”.

La circolare del dirigente scolastico ordinava l'affissione, e per questo è stata ritenuta dalla Corte “non conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità” e per questo è stata annullata la sanzione disciplinare della sospensione per 30 giorni che era stata inflitta al professore.

“L’affissione del crocifisso - al quale si legano, in un Paese come l'Italia, l'esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo - non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione”, da qui discende il rigetto della richiesta di risarcimento danni formulata dal docente, in quanto non si è ritenuto che “sia stata condizionata o compressa la sua libertà di espressione e di insegnamento”, conclude la nota della Cassazione.

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